
Thor – The Dark World: elfi oscuri, macguffin e fanservice
Ed eccoci tornati con uno dei film che, facendo un sondaggio dell’opinione media, è considerato tra i più deboli dell’MCU.
Insomma, pare che la saga di Thor sia destinata ad avere film meh (trad. “Un po’ così, insipidi”).
In realtà io trovo Thor: The Dark World (2013) un film divertente, ma se si tiene conto che appartiene alla fase due del Marvel Cinematic Universe come Captain America: Winter Soldier, è abbastanza tangibile che i due film abbiano goduto di una cura molto diversa. Se infatti il film su Steve Rogers è un tassello fondamentale che condurrà ad Avengers: Age of Ultron e alla civil war, oltre a possedere un’ottima regia, Thor: The Dark World è un film più slegato dagli altri e, diciamolo, un film più costruito sul fanservice.
Dove eravamo rimasti? Alla fine di Thor il Bifrost, ponte arcobaleno che collega Asgard agli altri mondi, era stato distrutto a martellate. Durante il film Avengers, il Dio del Tuono era tornato sulla terra “grazie a tutto il potere di Odino” (sì? Non è che si sia mai capito) per andare a recuperare il fratello. Loki, infatti, è un po’ quel familiare emo che mette in imbarazzo di fronte ai nuovi amici. Thor ci teneva tanto a fare bella figura coi terrestri e Loki per dispetto è andato a organizzare una parata a New York talmente sfuggita di mano che ancora se la ricordano (o ce la ricordano i Defenders nelle loro rispettive serie tv ogni due per tre).
In apparenza, Thor: The Dark World inizia dove Avengers finisce, ovvero con il Padre degli Dei Odino un bel po’ incazzato con Loki per ciò che ha combinato. Decide di incarcerarlo a vita e offre un’altra generica dimostrazione del loro disteso rapporto padre-figlio.
Odino padre dell’anno edizione secondo film: Se io non ti avessi adottato saresti morto.
Tipo l’ultimo genere di rinfaccio che bisognerebbe mai far pesare a un figlio adottivo. Ora, io non voglio dire, ma se Loki ti è venuto su così io due domande pedagogiche a monte me le farei.
Anche se non sembra passato tanto tempo dalla fine di Avengers, all’inizio di The Dark World vediamo di nuovo il Bifrost ristrutturato, riparato, fiammante. Wow, manco i giapponesi dopo i terremoti.
Cioè tanta tragedia alla fine del primo film, tutto quel “non potrò mai rivedere la mia amata Jane Foster” (tre giorni, si sono frequentati per tre giorni di numero), quando poi con un po’ di lavori in corso era come nuovo?
Ma andate a quel paese e senza Bifrost.
A proposito di Jane Foster: per qualche ragione suicida, gli sceneggiatori decidono comunque di concedere alla bella quanto poco credibile scienziata interpretata da Natalie Portman un ruolo di primo piano in questo film. Con tutte le persone esistenti sulla faccia della Terra, infatti, è proprio la terrestre pseudo-fidanzata di Thor a imbattersi in una delle gemme dell’infinito e a finirne intossicata.
Altre cazzate ne abbiamo?
Così Thor è costretto, dopo averle dato dei giri per due anni, a correre in suo soccorso sulla Terra. Scopre che la gemma dell’infinito che la ragazza ha nel suo corpo fa molto gola agli Elfi Oscuri, una popolazione sconfitta da Odino vari eoni addietro guidata dal crudele Malekith (interpretato qua da Christopher Eccleston, il primo attore a ricoprire il ruolo del Dottore nella serie moderna di Doctor Who. Ve lo comunico ma tanto col trucco è irriconoscibile).
Jane prova anche a chiedere come mai quando Thor è sceso sulla Terra per la battaglia di New York di Avengers non ha fatto un salto a trovarla, ma il dio tergiversa come neanche gli uomini che scappano in Messico dopo aver messo incinta una.
Ok, ho capito che con i Chitauri in giro non c’era proprio tempo per lei… ma non poteva correre dalla sua amata alla fine anziché andare a mangiare lo shawarma?
No, ma grande amore, eh. Sicuro.
Insomma, questo film è tutto un grosso macguffin: è un macguffin l’aether (la gemma), sono macguffin gli elfi oscuri, è un macguffin pure Jane Foster.
Poi c’è la quota fanservice, che è indiscutibilmente Loki. Dopo due film non può per ovvie ragioni essere per la terza volta il cattivo designato, ma dopo Avengers è diventato un personaggio talmente popolare – soprattutto nel fandom femminile, non lo dico per esperienza diretta eh – che non può essere accantonato. La Marvel però dà abbastanza la sensazione di non aver ben chiaro come usarlo. Viene richiesto esplicitamente al director Alan Taylor (grandissimo regista televisivo, che ha lavorato a vari episodi dei Soprano, di Mad Men, de Il Trono di Spade) di girare più scene con Loki rispetto a quelle previste. Così, la sceneggiatura è costretta a creare due grossi pretesti che rendano possibile il suo coinvolgimento: la prima è la sua conoscenza di tutte strade segrete tra i vari mondi (una storiella che sembra un po’ una minchiata ma era già stata accennata nel primo film). La seconda è quella per spingere lui ad allearsi con Thor.
In pratica scopriamo in questo film che Loki è… un mammone.
Nella migliore delle tradizioni del cattivo standard da Psycho in poi, ha un legame profondo con la madre.
A differenza dei suoi difficili rapporti con Odino, infatti, questo Loki è suo malgrado molto affezionato alla mamma adottiva, Frigga, che è anche la persona che gli ha insegnato la magia. Per lei, il Dio dell’Inganno deciderà di schierarsi contro gli Elfi Oscuri. Forse. Come al solito, infatti, Loki fa il triplo gioco.
Una delle scene migliori è proprio il dialogo tra Thor e Loki a metà film, in cui emerge un tentativo di approfondimento psicologico che, per quanto accennato, è abbastanza positivamente fuori tono rispetto al resto. Solo che è un battito di ciglia, passa e vola via, all’interno di un film che invece è tutto sommato innocuo.
Il cattivo in carica, Malekith, è estremamente poco memorabile. Se lo ricorda qualcuno?
In genere solo una scena di The Dark World rimane impressa al pubblico, ed è quella finale. Che apre un grosso interrogativo, a tutt’oggi non ancora colmato. In teoria dovrebbe essere proprio Thor: Ragnarok, a distanza di ben quattro anni, a offrire finalmente una risposta.
Abbastanza interessante la location scelta per lo scontro finale di questo The Dark World: l’università di Greenwich. Questa sequenza ha in sé alcune delle gag più sceme dell’intero MCU – talmente cretine che a me fanno ridere, lo confesso – come per esempio quella di Thor costretto a prendere la metropolitana di Londra per tornare a Greenwich.
Bello.
Solo che questo scontro scopre il fianco a un problema di verosomiglianza interna: siamo sulla Terra e dei mostri stanno distruggendo Greenwich, sicuramente tutti i tg mondiali saranno sintonizzati sulla notizia (capisco che in quella realtà alternativa ormai i terrestri sono quasi abituati a creature che radono al suolo cose, ma interromperebbero comunque i programmi di cucina per dare la breaking news anche lì, su)…
Perché gli altri Avengers lasciano Thor a sbrigarsela da solo?
Va bene la sindrome post-traumatica di Iron Man, va bene che Captain America ha tanti pensieri per la testa tra cui rassodarsi i glutei, ma mi sembra comunque un po’ indelicato.
Va beh: Thor sconfigge il boss, qualche danno qua e là, rinuncia al trono di Asgard e torna dalla sua amata Jane Foster.
Grande amore. Durerà tantissimo.
Thor non sembra accorgersi, però, che Odino è un po’ strano: aveva lasciato il padre in mood “prova a disubbidirmi e ti stacco la testa e la uso per giocarci a bowling asgardiano” e lo ritrova che siede sul trono in una maniera hippie e stravaccata e gli dice: “ma sì, vai dalla donna che ami, non importa che qua sia tutto distrutto e che hai liberato tuo fratello contro la mia volontà, fate l’amore non fate la guerra, mandami una cartolina, ti voglio bene, ciao ciao”.
Thor, su, faccela. Fai 2+2 una volta nella vita.
Poi la gente mette in giro la voce che sei scemo.