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Torino Film Festival 2016, gli ultimi due giorni della kermesse

Ore 8 e 31 di venerdì 24 novembre 2016, Sestri Levante. Io, un ragazzone di nome Paolo e un altro ragazzone di nome Alessio stiamo per partire alla volta di Torino. Trentaquattresimo Torino Film Festival. Le aspettative sono altissime, l’emozione si sente con chiarezza. Per la prima volta, i tre eroi sovraccitati, prenderanno parte a un festival cinematografico.

Il signor Paolo (che di cognome fa Galloni, ciao Paolo) ha studiato con criterio giudizioso gli ultimi due giorni di programmazione della kermesse, e noi (io e il ragazzone Alessio), da buoni porci, abbiamo deciso di provare a fidarci delle scelte del signor Galloni, che assicura: “non rimarrete delusi, amici”.

Arrivati a Torino l’aria di Festival si sente già prima di entrare al primo spettacolo (cinema Lux, ore 11 e 30): tante persone incuriosite davanti al cinema, file di qua e file di là, file per possessori di abbonamento, file per possessori di accredito stampa, file per possessori di biglietti gialli, file per possessori di biglietto blu, file per i cessi, file per cani sporchi. E’ il trionfo delle file. A Torino, durante il festival cinematografico, si tiene, infatti, anche il Festival delle file.

La gente si mette in fila e gioca a creare serpenti di esseri umani. Chi fa la fila più lunga vince un asino con la laringite e un salame.

Ecco, oltre a vedere un sacco di file, la prima impressione è stata anche quella di vedere un sacco di amore per il cinema. Scherzi a parte, mai mi era successo di sentire nell’aria una così sincera devozione verso il cinematografo, un così sincero attaccamento. Certo, ci sono spettatori e spettatori. Mi è capitato di vedere quei cinefili vecchio stampo che, davanti a tamarrate colossali, escono dalla sala in anticipo bestemmiando in nord coreano e al grido di “ma come cazzo vi permettete di proiettare codeste blasfemie”. Mi è capitato di vedere signorotte di 75 anni che, assolutamente a caso, vanno a vedersi filmetti indipendenti e ne rimangono piacevolmente sorprese.

Mi è capitato di vedere tante persone che vanno al cinema in solitudine: uomini in giacca  e cravatta, anziane col bastone, articolisti in erba (magari qualche pirla che, come il sottoscritto, scrive gratuitamente per una qualsiasi webzine cinematografica). Mi è capitato di vedere tanti figli che portano al cinema i loro genitori anziani. Mi è capitato di origliare una marea di discussioni in sala prima che iniziasse lo spettacolo, ed erano PERENNEMENTE riguardanti il mondo del cinema. Alcune erano ridicole, ma chissenefotte. Non ho visto UNA PERSONA col cellulare in sala. L’unico ritardato ero io, perché sono un’essere di merda.

Ma, soprattutto, ho visto i cinema PIENI. PIENI come non mai.

Insomma, cari lettori, queste sono state le mie sensazioni. Belle. E le volevo condividere con voi. Mi rendo conto di essere un piccolo neofita festivaliero cane, e che, magari, voi, queste sensazioni, appunto, le avete già sperimentate più e più volte. Ma lasciatemi sfogare.

Andiamo al sodo. In due giorni di programmazione sono state visionate dal sottoscritto nove fottutissime pellicole (compresi alcuni cortometraggi). Ve le racconto tutte in brevissimo, sperando di incuriosirvi. O magari no.


Lungometraggi:

Nome di battaglia donna, Andrea Segre, Italia, 2016.

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Alcune ex partigiane raccontano, di fronte a una telecamera che inquadra loro l’anziano faccione, le loro gesta da partigiane combattenti nel Piemonte del 1943-45. Testimonianze noiose (levata una simpaticissima anziana, “Fagiolino”, che ha fatto letteralmente – e bonariamente – sbellicare la sala dal ridere) si palesano come il contenuto di un documentario scolasticissimo, che non riesce ad andare a fondo. Nonostante tutto, un film necessario.

Voto: 1,5/5.

Free Fire, Ben Wheatley, Regno Unito/Francia, 2016.

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Novanta minuti di sparatorie. Montaggio da urlo e regia magistrale (nonostante Wheatley sia ancora giovanissimo dirige davvero come un veterano). Ritmo incalzante, tempi morti inesistenti. Un mix tra Tarantino, De Palma e Scorsese, che non manca neppure di strappare una gran quantità di risate.

Tuttavia non mi è piaciuto particolarmente. E non ne capisco ancora il perché. Datemi qualche giorno per riflettervi.

Voto: 2/5. In teoria, però, vale di più.

Bleed for This, Ben Younger, USA, 2016.

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Tamarrata colossale e ben confezionata. Quasi come cocaina vi farà tenere gli occhi ben aperti per tutte e due le ore di durata. Il classico film sul pugilato che dimenticherete all’istante ma che, lì per lì, vi farà godere come cavalli matti. Ah, le scene di combattimento sono di altissimo livello. Altissimo. Ispirato a una storia vera.

Voto: 2,5/5.

Operation Avalanche, Matt Johnson, USA, 2016.

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Girato in stile mockumentary, Operation Avalanche è un film interessante, che riporta alla luce la folle teoria complottistica secondo la quale gli americani, nel 1969, sulla Luna, non ci siano stati manco col binocolo. Impossibile da inquadrare in un genere prestabilito (si spazia dalla commedia, al giallo, allo spionaggio, al drammatico), piace e coinvolge, fa ridere (tanto) ed emozionare. Regia ottima: traspare un amore enorme verso la Settima Arte.

Voto: 3/5.

Turn Left, Turn Right, Douglas Seok, Cambogia, 2016.

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Anteprima mondiale visionata alla sala tre del cinema Reposi. Sarà l’enormità della sala, sarà l’aria “festivaliera”, sarà la magia del sapere che il regista è lì, al cinema, con te, e che alla fine di tutto risponderà a un pubblico dibattito con gli spettatori, ma, nonostante il presagio fosse negativo (un film cambogiano, DAI!) è stato magico. 68 minuti metafisici, visionari, surreali, onirici. Scandito in 12 “tracce” e stra-intriso di musica, alterna momenti estatici a sequenze forse troppo pretenziose per un regista alle prime armi. Da guardare con gli occhi di un bambino. Una visione innocentemente meravigliosa.

Voto: 3,5/5.

Kate Plays Christine, Robert Greene, USA, 2016.

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Un documentario che non vuole essere un documentario. Robert Greene gira, in pratica, un antidocumentario. Con le sembianze di un documentario. Kate Plays Christine racconta la storia di Kate, un’attrice chiamata ad interpretare in un film il ruolo di Christine Chubbuck, giornalista e prima persona (era il 1974) a suicidarsi in diretta tv. Meta-cinematografico dall’inizio alla fine, Kate Plays Christine si tratta di un biopic atipicissimo, dove il confine tra realtà e illusione risulta impercettibile. Doloroso e commovente. Un film sulla vita. Se siete già su Google e non vedete l’ora di vedervi il video dove la Chubbuck si spara, lasciate perdere. Non esiste alcuna copia di quel nastro.

Voto: 4/5.

The Love Witch, Anna Biller, USA, 2016.

La amo mamma mia la amo come la vita
La amo, mamma mia, la amo come la vita

Meraviglia visiva curata nei minimi dettagli. Anna Biller è regista, costumista, sceneggiatrice, montatrice e produttrice dell’horror più anticonvenzionale di sempre. La vicenda segue le orme di una strega “stra-topa” che ammazza tutti gli uomini che si porta a letto. Omaggi continui al genere grindhouse, ai film di sexploitation, alle porcherie di Lucio Fulci, a Hitchcock e Pasolini. Capolavoro assoluto, la più grande sorpresa del Torino Film Festival.

Ps: vi avviso. È un film che piglia letteralmente per il culo lo spettatore. Non fate i permalosi altrimenti poi non vi piace più.

Voto: 5/5.


Cortometraggi:

Il futuro di Era, Luis Fulvio, Italia, 2016.

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Un panciuto agricoltore che fuma tantissime Marlboro rosse e indossa un cappello con scritto “Australia” sulla visiera viene ripreso passo per passo mentre scolpisce un albero con una MOTOSEGA, al fine di creare una vera e propria statua (Era, appunto). Di sottofondo il rumore (fastidiosissimo) dell’orrorifico oggetto e il paesaggio collinare della bellissima Sicilia.

Cortometraggio involontariamente (o volontariamente?) ruffiano che, accalappiandosi l’attenzione dello spettatore grazie all’immensa abilita’ manualistica del suo unico protagonista, non riesce ad essere fruito in tutta la sua reale e, almeno ipotetica, pienezza. Di difficile intuizione.

Voto: 2,5/5.

Nuova Zita, Antonio Di Biase, Italia, 2016.

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Immagini sgranate mostrano un peschereccio e il suo equipaggio durante un turno di lavoro. La macchina da presa riprende quello che le si staglia di fronte, senza ricorrere a stratagemmi. Semplice ed intriso di realtà. “Rudimentalmente” emozionante.

Voto: 3,5/5.

Ci vediamo l’anno prossimo, Torino Film Festival.

 

Lorenzo Montanari

"Il ragno rifugge dal bugigattolo, ma è ben attento alla preda. Sarà l'ora di fare un bagno, Edison?" Sestri Levante, Genova, Italia.
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