Film

Toy Story 4, se i giocattoli ci insegnano a vivere (NO SPOILER)

Torna la saga dei giocattoli, per l’ultima volta

Questa volta avevo davvero, davvero paura. La mia entrata in sala per Toy Story 4 era il mio voto di fiducia cieca ai creatori Pixar, che so sapermi sempre convincere qualsiasi cosa facciano. Anche e nonostante il numero 4 accanto a un film faccia davvero paura.

E niente, non ce la fanno proprio a deludermi i ragazzi.

Ma andiamo in ordine.

Di tutto un po’

Toy Story 4 lascia sicuramente come impressione generale quella di aver voluto inserire un bel po’ di temi e spunti all’interno di questo capitolo. A tratti forse sembrano anche troppi, ma molti di essi sono trattati talmente bene – attraverso dei giocattoli poi! – che proprio non gli si può dire niente.

Creatività

Innanzitutto si sono giocati benissimo il pretesto per un quarto film. Se infatti il primo Toy Story racconta dei giocattoli “di casa”, il secondo di quelli da collezione, messi da parte dai bambini, il terzo prosegue sul tema raccontando di giocattoli persi e dimenticati finiti in un asilo, con tanto di finale strappalacrime dove Woody e soci vengono regalati a una bambina dal loro storico proprietario Andy. Nel quarto ripartiamo da qui, da Bonnie, la nuova proprietaria dei giocattoli appena arrivata all’asilo. Cosa si giocano quindi in casa Pixar? Un aspetto comune a tutti i bambini: la capacità di inventarseli, i giocattoli, di crearli. Ed ecco quindi Forky, un giocattolo creato dall’assemblaggio di alcuni pezzi di spazzatura, nuovo giocattolo preferito di Bonnie.

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Ama, dimentica, cresci, disprezza

Rispettivamente sono questi i sentimenti raccontati nei rispettivi capitoli di Toy Story, rispetto ai giocattoli. Questo quarto capitolo ci racconta infatti cosa succede non tanto quando i giocattoli vengono messi da parte, dimenticati da un bambino ormai cresciuto, ma semplicemente quando non piacciono ai bambini. Ci sono i giocattoli difettosi, che finiscono nei negozi di seconda mano, quelli messi in premio al luna park, quelli di utilizzo pubblico al parco. E c’è Woody, che resta chiuso nell’armadio per tanti giorni di fila a fare – letteralmente – la polvere.

Tutto in salsa Pixar

C’è, inoltre, la capacità di portare oltre delle già ottime caratterizzazioni di personaggi che sarebbero inanimati, ma sono in grado di farci empatizzare con una forza inaspettata.

Il cuore di questo Toy Story 4 infatti è proprio questo, la dimensione umana dei giocattoli.

L’amore che un giocattolo prova per il suo bambino è ciò che di più nobile possa provare.

Prima di tutto è umano Woody (che senza la voce di Frizzi spezza un po’ il cuore, specie per una coincidenza nella trama che poi vedrete). Lui, così devoto ad ogni costo, così leale prima ad Andy, che non ha mai dimenticato, e ora a Bonnie, non sa più chi è però. Non è abituato a non essere capo dei giocattoli, a non essere quello che li guida, il giocattolo preferito del suo bambino. Per amore di Bonnie però mette da parte ogni cosa, rischia tutto, per preservare il suo effettivo giocattolo preferito. Anche se è un forchetto. Umano è il suo dover fare i conti con il farsi da parte, con il non avere più nessuno da salvare e poi col concedersi di ricominciare.

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…Quini sdrammatizziamo anche

Troppo pesante dite? Non in casa Pixar: a fare da contraltare a un Woody piuttosto triste in effetti, ci sono tutti gli altri. Su tutti spicca Buzz, che proprio su questa introspezione di Woody imposta tutta una gag che fa del suo personaggio la parte forse più esilarante del film. Anche gli altri personaggi secondari non scherzano però, specialmente quelli del luna park. Vedrete.

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Pensavate ci fossimo dimenticati delle donne?

E che volete che la casa di animazione egemone nel 21esimo secolo non ci butti una quota rosa gratuita? Dopo avercela sparata nel Marveliano Endgame, eccola qui in Toy Story 4: viene recuperato – piuttosto inaspettatamente, dopo un film intero su Jessie – il personaggio di Bo Beep, la pastorella, che dopo una serie di vicissitudini è diventata una vera e propria eroina in pantaloni e bandana. Bel personaggio, ma di quelli che con l’accento sul girl power risultano un po’ forzati. E lo dico da donna.

E i villain?

Su questo punto Disney e Pixar stanno insistendo da un po’, eliminando e relativizzando l’antagonista. Ancora una volta ci troviamo in questa situazione: il personaggio in questione è forse uno dei più toccanti della storia, quello che più di tutti finora è riuscito a smuovere la riflessione che – credo – la Disney stia cercando di suscitare da quando ha preso questa impostazione: dove sta il confine tra cattiveria e ostinazione nel perseguire i propri obbiettivi? Woody stesso concorre a metterci di fronte a questa verità.

Toy Story 4, un cerchio che si chiude

Ci ho tenuto a sottolineare che si tratta dell’ultimo capitolo innanzitutto perché ha tranquillizzato me, dal momento che sul trascinare saghe all’infinito abbiamo tutti esperienze orribili e quattro capitoli sono già parecchi. Ecco quindi che la Pixar ci regala una chiusura del cerchio, una formazione diversa dal solito: non quella di un bambino che diventa uomo, ma quella di un giocattolo che si accetta e si reinventa. O un adulto che impara a comprendere quando ha fatto quello che doveva e può concedersi di riposare, senza pensare di essere finito e perso per questo, ma di poter guardare avanti, continuare.

Verso l’infinito… E oltre.

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Gaia Cultrone

1994, ma nessuno ci crede e ancora bersi una birra è complicato. Cinema, libri, videogiochi e soprattutto cartoni animati sono nella mia vita da prima che me ne possa rendere conto, sono stata fregata. Non ho ancora deciso se sembro più stupida di quello che sono, o più furba; pare però che il cinema mi renda, quantomeno, sveglia. Ah, non so fare battute simpatiche.
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