
Train de vie, un treno per vivere, una tragedia per ridere
Leggero, drammatico e originale. Un piccolo capolavoro di cui si parla troppo poco.
Dio esiste, Dio non esiste: che importanza ha? Vi siete mai chiesti se l’uomo esiste? Dio creò l’uomo a sua immagine… È bello: Schloime a immagine di Dio. Ma chi l’ha scritta questa frase nella Torah? L’uomo. Non Dio, l’uomo. L’ha scritta senza modestia, paragonandosi a Dio. Dio forse ha creato l’uomo, ma l’uomo, l’uomo, il figlio di Dio, ha creato Dio solo per inventare sé stesso… L’uomo ha scritto la Bibbia per paura di essere dimenticato, infischiandosene di Dio… Noi non amiamo e non preghiamo Dio, ma lo supplichiamo. Lo supplichiamo perché ci aiuti a tirare avanti: cosa ci importa di Dio per come è? Ci preoccupiamo solo di noi stessi. Allora la questione non è solo sapere se Dio esiste, ma se noi esistiamo.
SBAM. Rileggetelo un’altra volta. Soffermatevi su ogni periodo. Avanti. C’è da uscirne pazzi vero?
È proprio di un pazzo in effetti questo monologo tratto dal meraviglioso Train de vie, film semisconosciuto del 1998 per la regia di Radu Mihaileanu. Sarà semisconosciuto perché è semisconosciuto il regista (che è in realtà molto attivo in Francia e fu l’aiuto regista di Marco Ferreri). Boh. Sta di fatto che ogni santa volta che nomino Train de vie, la gente mi guarda perplessa: a parte me e mio padre sembra non averlo visto nessuno. E mi chiedo sinceramente perché, vista l’immane bellezza di questa pellicola. Ordunque, diamogli lo spazio le stelline che si merita; parliamone.
Non il solito polpettone drammatico
Diciamo le cose come stanno: a parlare di ebrei e nazisti è difficile riuscire a far spisciare dal ridere (a meno che non ricorri a un po’ di dissacrante umorismo nero, che qui però avrebbe stonato). Eppure questo film ci riesce benissimo e lo fa con una storia totalmente assurda e sgangherata.
In un villaggio ebraico dell’Europa dell’est, nel 1941, il matto del villaggio Schloime avvisa i suoi compaesani che nei villaggi vicini gli ebrei stanno venendo deportati dai militari nazisti. Si riunisce il consiglio degli anziani per decidere il da farsi e viene fuori un’idea assurda ma geniale: organizzare un finto treno di deportazione, che in realtà accompagni tutto lo shtetl in Palestina passando per l’Unione Sovietica. La messinscena riguarda tutti gli abitanti, che sono chiamati a recitare ognuno una parte ben precisa: ci sono gli ebrei che faranno i nazisti, gli ebrei che faranno gli ebrei, l’ebreo che impersonerà il macchinista (un lavoratore del Ministero delle Ferrovie che riesce a manovrare il treno seguendo un manuale), l’insegnante ebreo di tedesco accorso per istruire i finti soldati nazisti, insegnando loro a parlare tedesco senza l’accento yiddish, e così via.
Insomma, una bella armata Brancaleone alla riscossa. Il treno parte, miracolosamente e coraggiosamente. I problemi iniziano a sorgere in viaggio, non solo per via delle truppe tedesche che inevitabilmente fanno controlli e li fermano, ma anche all’interno del treno stesso: ebrei-comunisti ed ebrei-nazisti cominciano a dar vita ad una serie di grotteschi battibecchi legati ai diritti dei viaggiatori del treno, arrivando al punto in cui i comunisti designano i soviet dei vagoni di deportazione. Alla fine il confine sovietico è a un passo, il treno sta per varcare la frontiera della salvezza, MAAA….
Ma ve lo dovete vedere. In nome delle facce perplesse che vedo quando chiedo “Lo hai visto Train de vie?”.
La Shoah come non l’avete mai vista (neanche con Benigni)
Umorismo+Shoah ed automaticamente viene in mente La vita è bella. Ecco, no. Per quanto apprezzi La vita è bella, davvero c’entra poco. L’umorismo di Mihaileanu è diverso e autenticamente yiddish. I toni sono malinconici, sarcastici, drammatici e comicissimi allo stesso tempo. Ad una prima occhiata, alcuni aspetti possono risultare stereotipati, macchiettistici: gli stessi personaggi non hanno picchi di originalità e sono ritratti in modo piuttosto prevedibile. Eppure le battute che dicono sono raffinatissime, a partire dal monologo di Schloime sopracitato (praticamente ogni volta che apre bocca dice qualcosa di pazzesco) fino ad altre battute-aforisma geniali, del tipo “lo yiddish è una parodia del tedesco, con dentro l’ironia“. Che poi è un po’ l’essenza del film.
Ma è poi davvero un film sull’Olocausto?
In fondo l’ironia non risparmia neanche gli ebrei stessi, che anzi sono i primi a essere bellamente presi per i fondelli, con i loro caratteracci e i loro lati oscuri, al pari dei nazisti e dei comunisti. Colpisce anche quanto in fondo si resti ai margini dell’orrore e della morte: non si entra nel campo di concentramento, non si osserva morbosamente “come morivano gli ebrei”, non si entra nel merito del genocidio.
Forse alla fine più che un film sulla Shoah Train de vie è un film sul folclore. Su una cultura che non c’è più e che non va dimenticata, sull’ideologia che disumanizza gli uomini, sul potere che trasforma chi ce l’ha e chi lo subisce. È un film anche su Dio e sull’uomo, sulla solitudine e la pazzia. Guardatelo. Vi farà bene al cuore.
Schloime, perché sei tu il matto?
Per caso. lo volevo fare il rabbino, ma il posto era già preso. Visto che mancava il matto, ho pensato: “Fai il matto, se no lo fanno loro. Fallo al posto loro”.
E non ti senti un po’ solo?
Oh no, non sono i matti che mancano…
No, intendevo una donna. Perché non hai moglie, Schloime, dei bambini, una casa?
Ah no, non sono mica matto…