True Detective 3 procede lento e inesorabile. Qui sotto i link alle altre recensioni:
Episodi 1 e 2
Episodio 3
È sufficiente la citazione apocalittica dell’evangelista Don Matteo “Vegliate dunque, perché non saprete né il giorno né l’ora” per calare immediatamente su questa quarta puntata di True Detective 3 una cappa lugubre e dolorante: nel 1980 la contea di Ozark è sempre più in preda a un’isteria collettiva in seguito alla scomparsa dei giovani Purcell; nel 1990, finite le deposizioni di Hays e Iolao (a.k.a. Roland), si organizza la task force per riaprire il caso Purcell, il tutto mentre il rapporto tra Wayne e Amelia comincia a incrinarsi e Julie Purcell viene avvistata in un supermarket; nel 2015, infine, Hays non si arrende alle proprie amnesie senili e decide di portare a termine una volta per tutte il caso che lo ha tormentato per la maggior parte della sua vita.
1980 – Le caramelle dagli sconosciuti si accettano solo se in casa non ce ne sono
Se a farla da padrona la scorsa volta era stata la striscia temporale ambientata nel 1990, stavolta tocca al 1980, dove – oltre a far miglior conoscenza della mamma schizzata (e un po’ zoccola) di Will e Julie Purcell – seguiamo le numerose false piste di cui Pizzolatto dissemina la sua storia, utili molto spesso a raccontarci l’ambiente, più che a portare avanti il caso. È il caso dell’accattone indiano e della persecuzione (fondata o infondata lo vedremo) da parte degli uomini del posto che, non appena lo vedono avvicinarsi a due bambine, scattano come molle per fargli la pelle.
Altra scena apparentemente di importanza secondaria, ma fondamentale per portare avanti una delle tematiche fondanti di questa stagione, cioè il razzismo, è quella dell’interrogatorio alla vecchia produttrice delle sinistrissime bambole (probabilmente made in Carcosa) di paglia trovate vicino al luogo del delitto.
Hays le pone interrogativi, ma la vecchia non lo guarda, lo tratta con indulgente indifferenza, come se lui non fosse altro che un pezzo di tappezzeria, lei risponde a Iolao, all’uomo bianco, a Iolao racconta del “Nigger with a deadeye” (“Il negro con un occhio guercio”), possibile indiziato del rapimento/omicidio. Quando Hays le chiede se il sospettato fosse bello o meno lei lo liquida con un laconico “era nero”, come se ciò rendesse evidente ciò che evidente non è. E in effetti questo basta non a portare avanti il caso, ma a raccontare una mentalità deviata, un pensiero sotterraneo, ma – al contempo – dominante.
Ma è il dialogo straziante tra Amelia e mrs. Purcell a suggerirci una delle possibili chiavi di lettura dell’intera stagione: se i ragazzi hanno dato confidenza a una coppia di sconosciuti fidandosi di loro, magari salendo sulla loro berlina marrone, arrivando a chiamarli “zio” o “zia”, forse lo hanno fatto semplicemente per un patologico bisogno di amore, di risate, di spensieratezza di cui casa Purcell (lo dice la stessa madre) era drammaticamente priva.
La colpa del crimine è di certo del criminale, ma non amare ci espone a un rischio mortale rappresentato dagli orchi del di dentro e quelli del di fuori. True Detective 3 ci racconta dei secondi.
1990 – Crepe familiari
L’unica famiglia in crisi però non è solo quella dei Purcell: mentre a lavoro Iolao si dimostra ben più stronzo di quello che era dieci anni prima, Amelia e Wayne litigano sulle loro incomprensioni, si dicono cose orribili in parte lenite da un sesso riparatore, ma neanche tanto. Un sesso-cerotto che di certo non guarisce del tutto uno strappo che sembra avere radici profonde (probabilmente nate e irrobustitesi nei dieci anni che la storia ci tace). Mentre nel 1980 vediamo la loro prima cena, qui vediamo crepe profonde e preoccupanti che potrebbero (perché no?) avere qualcosa a che fare con i problemi psichici dell’Hays del 2015.
Nel frattempo le indagini proseguono: dall’impronta di Julie Purcell si riesce a risalire a un filmato di sorveglianza di un supermercato dove – dopo diverse ore di visione – Hays riesce finalmente a vedere il volto di Julie, dieci anni dopo la sua scomparsa.
Cosa l’avrà tenuta lontana da casa così a lungo essendo lei dannatamente viva?
2015 – Ciò che è morto non muoia mai
Ed eccoci alla storyline che conferisce maggior originalità a questo True Detective 3, cioè quella che vede Wayne alle prese con la demenza senile e con la tendenza a non ricordarsi più nemmeno che ha mangiato a colazione.
Non benissimo se si vuole risolvere un caso di trentacinque anni prima.
Sempre frenato da quel tritapalle del figlio (che, a giudicare dal baffo improbabile, non mi stupirei vederlo spuntare in qualche video di “Blacked.com” * vedi nota a fondo pagina) il nostro Hays cerca di far scoprire le carte all’incantevole Sarah Gadon (la regista), già vista in 22.11.63, in merito a nuovi elementi di cui solo lei potrebbe essere a conoscenza.
A questa ricerca si accompagna quella di Iolao, l’unico – a detta di Hays – che può ricordare certi particolari che potrebbero risultare decisivi per riaprire il caso. Posto che Iolao sia ancora vivo, ovviamente.
Questa storyline procede ondivaga, alternando momenti di lucidità ad altri di delirio (magistrale la sequenza in cui lo studio di Hays si popola di vietcong, simbolo della sua tragica esperienza vietnamita), non lasciando intravedere allo spettatore nessuna plausibile conclusione, se non quella affidata all’attesa delle altre quattro puntate di questa splendida stagione che sta riuscendo nella cosa più difficile, soprattutto dopo la seconda stagione: riaccaparrarsi il suo pubblico e farsi (di nuovo) amare da esso.
* no mamma, io non ho mai visto nessuno di quei brutti video