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True Detective 3 – FINALE – La giungla dei sommersi ma mai dimenticati

True Detective 3 si è concluso, come sarà stata l’ultima puntata?


Qui i link per le puntate precedenti:

3×01-02

3×03

3×04

3×05


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Tempo. Memoria. Famiglia.

Ecco quali parole sceglierei per riassumere True Detective 3, il viaggio tormentato di ‘purple’ Hays, i suoi 35 anni di indagini e drammi familiari.

Questi 75 minuti che chiudono la terza stagione sono un po’ come il proverbiale pettine che mette a posto ogni nodo, sia pure il più piccolo dettaglio, del caso Purcell. Ora che mi trovo di fronte alla pagina bianca avverto tutta la difficoltà di fare lo stesso e tirare le fila di una storia che sembra non finire mai, che è come una cassettiera infinita fatta di buchi neri e segreti inconfessabili.

Se volessimo azzardare un paragone potremmo dire che Pizzolatto ci ha dato la sua personalissima versione de La coscienza di Zeno, tramutando il diario di Zeno in 8 puntate dal ritmo lento e compassato, utili a depredare la memoria e il cuore di un uomo distrutto dal proprio lavoro, dalla propria incapacità di essere un eroe, per risolvere la situazione una volta per tutte e risalire alla radice del proprio male.

L’ossessione, c’è questa in fondo a muovere Hays, soprattutto la sua versione anziana, un’ossessione incrollabile mista a un vertiginoso senso di colpa che lo ha spezzato, dandogli il colpo finale dopo l’esperienza traumatica del Vietnam e di decenni passati ad arrovellarsi su un caso apparentemente irrisolvibile, i cui contorni si fanno sempre più sfumati, nascosti dalle pieghe della sua memoria rugosa.

Julie Purcell.

L’ottava puntata di True Detective 3, come prevedibile, ruota tutta attorno a lei, al mistero della sua scomparsa. A questo ci aveva portati Pizzolatto, conducendoci quasi per mano, consapevole del fatto che avremmo visto solo quello che lui ci avrebbe indicato: un nuovo caso di pedofilia, una nuova organizzazione malefica che rapisce bambini per placare i propri sadici appetiti.

E invece no: l’Arkansas di Hoyt non è la Louisiana dei Tuttle.

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Il seme del dramma

Ci sono tante famiglie spezzate in questo True Detective 3: quella di Hays, innanzitutto, rimasta unita grazie alla perseveranza di Wayne e la solidità incrollabile della moglie Amelia; quella dei Purcell, definitivamente annientata da una tragedia, ma già marcia dall’interno; infine quella di Hoyt, il misterioso magnate che alla fine della 3×07 aveva prelevato Hays facendolo salire su una berlina nera. Nella famiglia di Hoyt si nasconde il seme del dramma, ma non il seme che tutti noi avevamo immaginato – o meglio – il seme che Pizzolatto ci aveva fatto credere avremmo trovato.

Una madre impazzita che vede rivivere la figlia defunta in Julie Purcell e una fantasia macabra che, essendo stata alimentata per troppo tempo, è degenerata in una realtà più simile a un incubo.

Wayne e West entrano finalmente nella stanza rosa, quella che noi avevamo immaginato come la stanza degli orrori, quella dove i giovani Purcell avrebbero subito gli orrori più impronunciabili, e invece la confessione del fedele Junius ci porta verso un altro tipo di perversione: quella di chi non si sa arrendere alla morte dei propri cari.

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Nella giungla dei mai dimenticati

Questa è la chiave del mistero, la soluzione, una soluzione messa in scena in modo niente affatto pomposo e cinematografico, bensì con tre vecchi consumati dal tempo, seduti a un tavolo insieme a tutte le loro frustrazioni, fallimenti e sensi di colpa, la accogliamo così come si può accogliere la morte, da un momento all’altro, senza monologhi altisonanti, in modo niente affatto epico.

Finita qui?

Manco per sogno. Nell’ultima mezzora, rispondendo all’istinto del grande narratore, Pizzolatto è ancora capace di inserire un doppio colpo di scena (Julie morta – Julie viva); di raccontarci la proposta di matrimonio di un uomo affranto e ubriaco, che per amore ha messo da parte la carriera, così come per amore della madre avrebbe rinunciato alla vita arruolandosi in guerra per 10mila dollari. E poi la famiglia ricomposta, la figlia Becca che promette di trattenersi, l’intensissimo incontro tra un Hays immemore e una Julie Purcell ignara, che si conclude con un indecifrabile sguardo di Hays (si sarà ricordato, tacendo per non compromettere la copertura di Julie, oppure no?) lanciato alle spalle, al passato di cui ora forse è più facile definire la linea irregolare, una linea fino a quel momento eternamente spezzata.

Quindi catarsi? Sollievo? Agnizione?

Niente di tutto questo. In un finale con qualche piccolo eccesso di tarallucci e vino, Pizzolatto ci suggerisce la corretta chiave di lettura con una semplice immagine: Hays avvolto nelle tenebre di una giungla fittissima, solo e perso come quanto tutto è iniziato, come se tutta la sua vita, la sua storia, i suoi successi e fallimenti non fossero serviti ad altro che a fare il giro e tornare da capo, dall’altra parte del tempo, dall’altra parte del cerchio piatto.

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Federico Asborno

L'Asborno nasce nel 1991; le sue occupazioni principali sono scrivere, leggere, divorare film, serie, distrarsi e soprattutto parlare di sé in terza persona. La sua vera passione è un'altra però, ed è dare la sua opinione, soprattutto quando non è richiesta. Se stai leggendo accresci il suo ego, sappilo.
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