
Un altro giro, vita e morte in 5 milligrammi di alcol
Un altro giro arriva nei cinema italiani (dopo un’attesa eterna) e ripaga le attese con un cocktail di emozioni forti, alcoliche e alcolizzate.
Un altro giro (Druk) è l’ultimo film di Thomas Vinterberg, che dopo la nomitation agli Oscar ricevuta per Il sospetto riesce a portarsi a casa una statuetta. In entrambi i film c’è un certo Mads Mikkelsen che spadroneggia nel ruolo principale. Entrambi i film escono con prepotenza dai confini danesi per raggiungere, e conquistare, il grande pubblico. E tutto ciò con giusta ragione.

Prima di raccontarvi cosa ne penso di questo film però devo fare una premessina. Io ho un fortissimo debole per il buon vecchio Mads, nato con la trasposizione televisiva di Hannibal. Per me è semplicemente uno dei migliori attori in circolazione al giorno d’oggi e non a caso ho gioito di cuore alla notizia che sarà lui il nuovo Gellert Grindelwald nel terzo capitolo della traballante saga di Animali Fanstastici. Questo però non vuol dire che a priori avrei apprezzato Un altro giro.
UNA STORIA QUALSIASI CON PERSONE QUALSIASI
Il trailer di Un altro giro, tanto per cominciare, non si espone per niente e a prima vista traspare un alone di film senza pretese. Però interessante quell’incipit sull’assunzione di alcol a scopo scientifico, ammetto di essermi sentito come ad un seminario tra colleghi. E allora perché non dargli una chance? Mal che vada saranno un paio d’ore in compagnia di Mads Mikkelsen!
Ecco, dopo una mezz’oretta scarsa comincia a venire a galla il sugo, denso di emozioni nel quale ribollono i personaggi del film. Martin (Mads Mikkelsen) è un insegnate di mezz’età di un liceo in Danimarca, dove lavorano anche Tommy (Thomas Bo Larsen), Nikolaj (Magnus Millang) e Peter (Lars Ranthe). È sposato con Anika (Maria Bonnevie) e ha due figli ma nonostante questo la sua vita sembra perdere colore ogni giorno di più.
Il lavoro non è più gratificante o entusiasmante come lo era in gioventù, e così la vita in generale. Ovviamente la sua non è una condizione isolata ma comune ai suoi amici e colleghi, che ritrovatisi a festeggiare il compleanno di Nikolaj decidono di iniziare una specie di esperimento sociale. Per un po’ di tempo proveranno a seguire una fantomatica teoria di uno psicologo norvegese che sostiene che l’essere umano sarebbe completo solo assumendo costantemente lo 0,05% di alcol.
E FINO A QUI TUTTO OKAY
Cioè, va bene, l’alcolismo è un problema e lo sappiamo, però la teoria su cui si fonda l’esperimento dei personaggi è chiaramente un semplice pretesto per dare una svolta alla propria vita. Da qui tutti cominciano ad assumere quantità di alcol costanti e si presentato in stato di ebrezza al lavoro, cosa che, come può essere prevedibile, favorisce e non poco il loro risveglio sociale.
Come una botta di caffeina ci aiuta a cominciare la giornata, così l’alcol ci aiuta a ricominciare ad aprire gli occhi sul mondo, su chi e cosa ci sta attorno. La vita torna ad essere un’avventura, le giornate più colorate e le emozioni più vivide. Insomma, l’esperimento porta a risultati straordinari, tanto da rendere l’alcol il nuovo centro di gravità attorno al quale ruotano le vite dei personaggi.
Le lezioni di Martin si trasformano in dibattiti sull’alcol o constatazioni di quanti personaggi storici fossero legati o meno al consumo di alcol e come questo abbia influenzato le loro vite. Il “dignitosamente brillo” diventa lo status alla quale i quattro uomini non possono più fare a meno e così decidono di passare al livello successivo della sperimentazione.
MA DA QUI MENO OKAY
Se all’inizio la soglia di tasso alcolemico alla quale puntavano era piuttosto bassa, con il passare dei giorni questo livello comincia a crescere e finisce per diventare incontrollabile. Qui il regista comincia una trasfigurazione di Un altro giro da commedia a dramma, mimando la trasformazione che l’abuso di alcol genera nelle proprie vittime.
Quello che prima era un carburante per le relazioni sociali diventa un pericoloso combustibile che si incendia e fa terra bruciata attorno a chi non riesce a farne a meno. Così le vite dei protagonisti, dopo tanto tempo riconquistate, cominciano a disgregarsi di nuovo, e questa volta in maniera traumatica.
Del sopracitato low profile non rimane più nulla, sostituito da una sensazione prima di spensieratezza e poi di tristezza che permea la parte centrale della pellicola. Ma è proprio qui che il film di Vinterberg si dimostra vincente, perché non prende parti in un ipotetico dibattito ma si limita a mostrare oggettivamente le conseguenze dell’uso e abuso di alcol nella nostra società.
MA CHE COSA È OKAY?
Chiariamo: Un altro giro non è né una pubblicità progresso né un incitamento all’alcolismo. Non si schiera per scelta (per intelligenza) ed è giusto così, proprio perché il problema è più complesso di quello che si potrebbe credere. In questo caso l’ambientazione è la Danimarca, terra che con l’alcolismo ha un problema più serio di altri paesi, ma potrebbe essere ovunque.
Potrebbe essere l’Italia come potrebbe essere il nostro paesino o la nostra famiglia. L’alcol costruisce e distrugge, regala gioie e dolori, vita e morte. Non si può e non si deve liquidare il tema con un semplice “l’alcol uccide” perché semplicemente è falso. Lo so io e lo sanno molti di voi ne sono certo, nel bene e nel male.
Per questo il film di Thomas Vinterberg rimane così scolpito nella nostra anima, perché tocca tasti scoperti e dolenti ma lo fa in maniera scientifica. E quindi sì, anche se non era detto a priori, Un altro giromi ha commosso. E fatto ridere, parecchio. Un po’ come una bella serata alcolica dove si ride, si piange, ci si commuove e si ride ancora, prima di sprofondare in un sonno vorticante.