Film

Un bacio: combattere gli stereotipi con gli stereotipi

Qualche giorno fa ho fatto l’Amélie della situazione e sono andata al cinema da sola per vedere Un bacio, il film di Ivan Cotroneo del 2016. C’era anche il regista in persona che presentava il film, e in più, cosa non di poco conto, la proiezione era gratuita. Insomma, le premesse per uscire soddisfatta dalla sala c’erano tutte.

Purtroppo, come spesso accade, le mie aspettative sono state infelicemente tradite.

TANTE BUONE INTENZIONI

Sarà che siamo talmente assuefatti a determinati stereotipi che non abbiamo le idee chiare su come combatterli, sarà che il bullismo oggi non è più sotto controllo (ma poi, lo è mai stato?); sarà tutto quello che vogliamo, ma non è mai una buona idea fare le cose, le storie, a tavolino – siano esse “per” o “contro” qualcosa. Si rischia di dare un intento morale, didattico, pedagogico alle cose, di edulcorarle, di minimizzarle, di rovinarle. In breve: di non saperle gestire.

Un bacio si presenta come un film contro bullismo, sessismo, omofobia e indifferenza. Contro troppa roba. A cui, infatti, il regista non riesce a star dietro. Un bacio è basato su un vero fatto di cronaca nera accaduto in California, con protagonisti due ragazzi adolescenti. La storia nasce come racconto scritto dallo stesso Ivan Cotroneo e poi portato nelle scuole all’interno di un progetto contro il bullismo. Lo stesso regista ha detto: “gli incontri andavano molto bene, ma le ragazze non si sentivano rappresentate in questa storia. Eppure, mi dicevano di sentirsi bullizzate in continuazione”. E su questo gli dò ragione in pieno: senza addentrarci nel mondo del demonizzato genere (“Gender”, per gli amici più estremisti), è evidente che oggi come non mai ci sia un’attenzione morbosa su qualsiasi comportamento femminile, sul volerlo classificare per forza – e, in ogni caso, sul volerlo classificare come sbagliato.

Per questo motivo, nel film Un bacio i due ragazzi sono affiancati da una protagonista femminile. Figura che vorrebbe essere questo tanto desiderato punto di riferimento per il pubblico femminile, ma che spalanca tutto un universo di problemi ulteriori e differenti che non viene esplorato se non in superficie.

FROCI E TROIE

I protagonisti di Un bacio si chiamano Antonio, Lorenzo e Blu. Il sistema dei personaggi ricalca pari pari quello di Noi siamo infinito: il ragazzo omosessuale ma sicuro di sé, quello che sta sempre sulle sue tanto da essere considerato un mezzo ritardato, la ragazza definita “troia” perché non c’è insulto che si attacchi a una femmina meglio di questo. Solo che qui i tre ragazzi (i maschi, per lo meno) rimangono giusto degli abbozzi di personaggi, un po’ piatti, senza una grande storia, con una profondità non raggiunta. Sono (o per meglio dire, fanno) gli outcast della situazione in una scuola di quelle viste e riviste in qualunque sit-com televisiva e teen movie degli ultimi 20 anni, con i bulletti che li bullizzano, le belle della scuola che li bullizzano, tutti che li bullizzano.

Antonio è schivo, chiuso in sé stesso, quasi non parla. Il lutto per la morte del fratello maggiore lo ha segnato definitivamente, tanto da farlo sentire il figlio sbagliato, quello che non eguaglierà mai la perfezione dell’altro (sempre circondato da amici e ragazze, intelligentissimo, simpatico, benvoluto da tutti. In una parola, perfetto). Questa sua condizione auto-inflitta però lo lascia in uno stato di incomunicabilità consistente, o per lo meno, a me non ha comunicato molto.

Lorenzo si presenta come un ragazzo gay e fiero di esserlo. Troppo fiero, ecco. Per come la vedo io, dimostrare qualcosa (sono favoloso) non significa ripeterla ogni singolo minuto – anzi, così si rischia di ottenere l’effetto opposto, e di non essere più credibili. Dopo dieci minuti di dialoghi tutta questa consapevolezza di sé sfuma e l’interpretazione diventa stucchevole, soprattutto nel modo di parlare (se c’è una cosa che io odio odio odio, sono le battute soffiate in stile telenovela. E qui durano tanto, non una mezz’oretta di episodio). Ed è un vero peccato, perché Lorenzo era il personaggio che aveva più potenzialità, quello che poteva essere il migliore, mostrandoci per una volta che l’orientamento sessuale va oltre camicie stampate a farfalle e Lady Gaga.

Mosca bianca inaspettata, Valentina Romani nel ruolo di Blu: lei sì che è credibile, e mi è piaciuta davvero. Anche nel suo caso, però, niente sviluppo di nessuna storia. Sì, ha questa misteriosa fama della troia in seguito a un determinato episodio (con protagonista lei e quattro ragazzi contemporaneamente), dice di essere fidanzata con quello che prima di diplomarsi era il ragazzo più bello e popolare del liceo, ma questo fantomatico tizio non compare fino quasi alla fine. E la sua comparsa è del tutto accessoria e funzionale a una rivelazione (circa quell’episodio) che lascia a bocca aperta – e non per chissà quale motivo, ma perché viene spiattellata così, da un momento all’altro, senza uno sviluppo precedente adeguato.

CADERE MALE

La difficoltà nel non saper gestire una storia del genere si rivela alla fine, quando la trama precipita, e malamente: cambia proprio in modo brusco, quasi che non si vedesse l’ora di arrivare lì a quel punto. Gli eventi che si susseguono nel finale mi hanno lasciato malissimo, soprattutto il vero finale, che è un finale alternativo: l’intenzione era di sicuro quella di fare una chiusa sensibile e coraggiosa, e invece è proprio qui viene fuori la quintessenza della retorica.

MUSICA PREVEDIBILE

Ivan Cotroneo ha voluto costruire una colonna sonora con tutti pezzi editi, che vanno da Lady Gaga a Mika ai Placebo. Niente di entusiasmante, e lo dico a malincuore da grande fan degli artisti sopra citati e di molti altri che compaiono nella soundtrack. È una scelta musicale un po’ “telefonata”: emblematiche in questo senso Hurts dei titoli di coda e una Born This Way coreografata dentro un negozio di vestiti, che da manifesto dell’autostima e del credere in sé stessi diventa un numero da musical banale e già visto.

C’è da dire una cosa però: in Un bacio è evidente l’esigenza forte di parlare di problemi del genere (e di genere), di mostrarli e di creare un dibattito costruttivo. Un’idea che in questo film è tradotta in una cosa che ho apprezzato molto: il diario che Blu scrive alla sé stessa del futuro. Molte riflessioni, a quanto pare, funzionano meglio su carta che sullo schermo, come quella finale:

Devi raccontarla questa storia, devi raccontare quello che ci è successo. Ma soprattutto devi raccontare che non doveva andare così. Non doveva andare per forza così. Che poteva essere tutto diverso, potevamo essere diversi noi. Potevamo essere più bravi, più forti. Questo devi raccontare un giorno.

Magari, la prossima volta, raccontandolo meglio di così.

Lucia Baldassarri

La mia data di nascita è il primo pezzetto della tabellina del 3. Campo di grammar nazismo in più lingue, teatro amatoriale, tè e altre splendide cose che non fanno curriculum. Finché non mi crasha photoshop faccio anche l'illustratrice. Se esistesse un posto con i tramonti del Lago Trasimeno e le porte di Bologna, abiterei lì. Guardo film per poter dire che vabè comunque il libro era meglio.
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