Film

Un sacco bello, un sacco Verdone

In un pomeriggio del 1980 Carlo Verdone è nel salotto di Sergio Leone a discutere con lui di regia e ruoli per un film. Carlo, figlio del sommo critico cinematografico Mario Verdone, è reduce dall’enorme successo del varietà Non stop (programma-fucina di svariati talenti comici italiani, tra cui Massimo Troisi e Francesco Nuti). Il film di cui stanno discutendo ancora non esiste, ma per Verdone rappresenterà una svolta importante: il passaggio dalla televisione al cinema. Non solo sarà attore protagonista, ma, su incoraggiamento del produttore Leone, si cimenterà anche come regista. Tutto è quasi pronto, manca solo da coprire un ruolo fondamentale: il padre del fricchettone (su di lui ci torneremo dopo). Nel bel mezzo della discussione, irrompe una voce più roca che mai: “AH SERGIOOO t’ho portato le melanzane, i carciofi, le zucchine, GUARDA CHE ROBBA SERGIOOOO, guarda ‘ste arance, so’ da’a Calabbria Sergioooo!” Con il suo metro e novanta ed un cesto mastodontico di frutta e verdura fra le mani, Mario Brega si aggiudicava involontariamente il ruolo del padre di Ruggero, il fricchettone.

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Ci sono poche cose che mi fanno ridere come Mario Brega nei film di Verdone. LA scena, quella memorabile, è indubbiamente quella in Borotalco, quella di “Assaggia ‘ste olive, so’ greche!”. Ragazzi, riesce ad essere comica anche la mano che ficca energicamente in bocca l’oliva (dai, lo so che volete rivederla, eccovi serviti).

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Anche Un sacco bello, il sopraccitato film di cui Sergio Leone e Carlo Verdone parlavano in salotto, ci regala un Brega in splendida forma, fenomenale colonna comica del film. Un sacco bello è un film d’esordio, ma non per questo acerbo. Si vede già tanto, o tutto, del Verdone che piaceva e piace ancora. Il film è diviso in tre storie, indipendenti l’una dall’altra, in cui Verdone incarna i tre protagonisti (e non solo): c’è Ruggero, il fricchettone di cui si parlava prima, Enzo, trentenne senza amici, e infine Leo, ragazzotto piuttosto ingenuo (eufemismo per non dire tonto). Sì, insomma, tre casi umani.

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Tre storie da morire dal ridere, ma con dei risvolti davvero amari, al limite del tragico. Vediamole singolarmente, spoilerando i rispettivi finali (finali infelici, ve lo anticipo).

  • Ruggero
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Il mio preferito. Prova attoriale notevole da parte di Verdone, l’episodio ha per protagonista un fricchettone all’ennesima potenza: Ruggero è un ragazzo scappato da Roma, di lavoro fa il figlio dell’amore eterno e distribuisce volantini per raccogliere fondi per la costruzione di una comunità agricola in Toscana. Tra semafori rossi e millanta “Cioè”, per puro caso Ruggero incontra suo padre (ecco Mario Brega) che, non vedendolo da tempo ed entusiasta dell’incontro, lo intrappola a casa per un lungo caffè. Vorrebbe convincere il figlio a tornare e per farlo chiede aiuto prima al prete don Alfio (Verdone), poi al cugino isterico Anselmo (sempre Verdone) e infine al professorone dispotico (ebbene sì, Verdone di nuovo). Potete immaginare il meraviglioso delirio. Tra le storie forse questa è la più divertente e scanzonata, anche se, ovviamente, il tentativo del padre fallisce e afflitto saluta Ruggero con un “manco lo voglio sapé do’ annate a dormì… me pigliano li bbrividi.”

  • Enzo

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Enzo è un trentenne con un discutibile look da Elvis e la testa di un sedicenne. Senza amici, cerca disperatamente nella sua rubrica mezza vuota un compagno di viaggio per un tour del sesso a Cracovia. Alla fine lo trova, ma la coppia non funziona sin dall’inizio: l’amico Sergio (Renato Scarpa) ha la stessa motivazione di uno studente universitario che dà un esame il 29 Luglio. Con la valigia piena di calze e penne biro, i due partono a bordo di una sobria Fiat Dino spider nera; Sergio però viene colto da un dolore fortissimo (che si rivelerà poi essere un calcolo biliare) e il viaggio si interrompe. C’è una scena in particolare che, non so perché, mi disturbò un sacco quando vidi il film la prima volta: il personaggio di Sergio a terra, in superstrada, che si contorce disperato dal dolore e Enzo che si preoccupa… ma non per l’amico, per il suo viaggio che sta saltando! Il personaggio di Enzo all’inizio ti fa quasi tenerezza, tutto solo, un po’ burino e ignorante forse, ma in fondo un bravo ragazzo. Poi si rivela un mentecatto egoista. Quindi alla fine pensi che quasi quasi se lo merita di tornare a casa di nuovo solo (e lo stronzo diventi magicamente tu, caro spettatore).

  • Leo

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Indubbiamente l’episodio più tragico. Leo è l’essere umano più goffo, mammone, tonto, imbranato e socialmente ritardato che vi possiate immaginare. Deve raggiungere la madre a Ladispoli, quand’ecco che sotto casa incontra la splendida ed emancipata Marisol (Veronica Miriel), turista spagnola che cerca un posto dove passare la notte, visto che l’ostello della gioventù è pieno (allego l’epico dialogo: “Scusa, donde sta “Otello della Giuventùs”?” “Otello?” “”De la Giuventùs!” ” ‘N che senzo?”). Tra i due nasce un certo feeling, che cresce per tutto il film, fino a che il fidanzato di lei, incazzato come un toro, irrompe in casa di Leo. Marisol ed il tizio litigano furibondamente, fanno pace e, come tutte le coppie che fanno pace, finiscono a letto. Precisamente, nel letto di Leo.

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Parlare di ‘episodio tragico’ mi pare un pò forte!, direte voi. Io dico di no. Verdone (o almeno il primo Verdone) è di fatto tragico, nel senso aristotelico del termine (perdonatemi la sboronata erudita): le storie finiscono male e tutti si possono immedesimare nei piccoli grandi drammi dei personaggi, che sono sempre deboli, mediocri e raramente riescono a riscattarsi. Poi chiaro, fa ridere. È una fiera di caricature umane esilaranti e molto credibili, che inquadrano perfettamente gran parte della ricca e buffa fauna italiana. Altro elemento dai risvolti tragici.

Lucia Tiberini

Classe 1992. Dopo un'infanzia nella provincia di Perugia, dove trovo notti stellate e sagre del cinghiale, mi trasferisco a Bologna, dove trovo esami, vino e bonghi. Amo il mio ukulele (ma solo esteticamente: non so suonarlo), Dylan dog, gli arrosticini e non disdegno il cinema.
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