
Una Preghiera Prima dell’Alba – L’Odissea di un pugile britannico in Thailandia
Quanto è difficile non essere romantici con un film sul pugilato? Se poi si parla di una storia vera, è come se si puntasse dritto al cuore. Persino un vate come Gianni Canova ha ammesso il suo punto debole: le pellicole sulla boxe lo smuovono emotivamente peggio di un milanista davanti a un video di goal di Andrij Ševčenko. Non ricordo se il paragone fosse proprio quello, ma dovrei esserci andato abbastanza vicino.
Io per primo ho versato i lacrimoni delle grandi occasioni per Cinderella Man o Million Dollar Baby, mi sono galvanizzato a bestia per le saghe di Rocky e Creed, oppure rimasto semplicemente senza parole per Toro scatenato. Da amante del genere, non potevo assolutamente farmi scappare un film passato sottotraccia (inedito al cinema qua da noi), ma con tutte le carte in regola per fare sfracelli: sto parlando de Una Preghiera Prima dell’Alba.
Diretto dal francese Jean-Stéphane Sauvaire, il film è un progetto della A24 (The VVitch e Swiss Army Man) e porta sullo schermo il periodo di prigionia del pugile Billy Moore a Bangkok. Un uomo dipendente da crack e alcool, una bestia da ring solitaria, alle prese con un’autentica Odissea. Iniziamo a ragionare. Pane per i miei denti.
Il fascino di un mondo sconosciuto e violento
Dopo aver pestato a sangue un suo avversario e aver passato la notte in un night, il pugile britannico Billy Moore viene arrestato per detenzione di stupefacenti (crack e yaba) dalla polizia thailandese. Il carattere impulsivo e l’astinenza lo porteranno ad affrontare un brutale calvario in prigione; l’unico modo per rimanere in vita sarà combattere. Anche contro sé stesso.
Una Preghiera Prima dell’Alba parte da subito con un’idea precisa: non vuole essere la parabola di una scalata al successo, bensì un percorso di espiazione sulla via del combattimento. Con il merito di essere girato all’interno di una vera prigione, il film trasuda (neo)realismo e riempie ogni sua inquadratura di un fascino inimmaginabile. Tanto suggestivo visivamente da non dover ricorrere a fiumi di dialoghi, Una Preghiera Prima dell’Alba ha nel suo protagonista un punto di forza enorme: l’esempio di muso bianco fuggito in Thailandia. Stereotipi del caso compresi.
Joe Cole (visto in Peaky Blinders), nel primo vero ruolo da front-man della sua carriera, si mangia la scena. L’attore britannico entra in perfetta empatia con lo spettatore: Billy è spaesato e abbandonato come un cane. È un corpo estraneo in una giungla di cemento armato e uomini pericolosi. La sua non è una performance solo muscolare, bensì capace anche con lo sguardo di rendere vividi i propri pensieri e silenzi. Una Preghiera Prima dell’Alba combina alla perfezione gli elementi di più generi tra loro (come il prison movie), evocando le ombre e le luci di un mondo sconosciuto e violento.
Una ragione per vivere, un motivo per essere migliori
L’autobiografia di Billy Moore, oltre a essere una brillante testimonianza di integrazione, è il grido di una disperata ricerca di pace: Sauvaire non ci va di certo per il sottile con la violenza per immagini e psicologica, facendo mancare come l’aria la serenità a tutti i suoi personaggi. Vi risparmio i dettagli raccapriccianti e disturbanti; quelli scopriteveli da voi. Tutto questo realizzato in funzione di una regia pulitissima e di un montaggio perfetto.

Ma voi vi starete chiedendo giustamente… ce se mena? Si vede un po’ di box thailandese? Ovvio che sì. Una Preghiera Prima dell’Alba mitizza ed esalta il legame tra il Muay Thai e il suo lato spirituale: le arti marziali diventano l’unica ragion d’essere per i prigionieri che vogliono migliorarsi come uomini prima che come combattenti. La preghiera del titolo del film (e dell’omonimo romanzo) è un’iniziazione buddista segnata dall’indelebile sak yant (tatuaggio protettivo), capace di fare della calma e della forza le virtù migliori del guerriero. Proprio per questo, nonostante la vaga sensazione di “già visto”, Una Preghiera Prima dell’Alba è un unicum tra i film sulla boxe usciti recentemente. Un dettaglio mica da poco.
Le coreografie dei match e delle risse in prigione sono fantastiche, l’azione non è mai caotica o confusionaria; da applausi un paio di momenti in piano-sequenza, giusto per non farci mancare nulla. L’unico neo sta proprio nella narrazione: in bilico tra il documentario e il déjà-vu, la tensione si smorza nel suo punto più alto avendo già un’idea di come il tutto vada a finire. Ma stiamo cercando il pelo nell’uovo.
Una Preghiera Prima dell’Alba sarebbe potuto essere tranquillamente un film muto e nessuno se ne sarebbe lamentato. Parliamo di una pellicola sentita, ma che non scade mai nel sentimentalismo gratuito. Una splendida cavalcata verso la libertà dell’anima; un gioiellino per tutti gli amanti dell’home-video e delle produzioni indipendenti.
Un ringraziamento speciale alla Koch Media per avermi permesso di vedere Una Preghiera Prima dell’Alba in esclusiva. Se siete interessati all’acquisto del film, pigiate qui… da bravi! Non ve ne pentirete!