Serie TV

Una serie di sfortunati eventi, le pastoie della narrazione

Mi sono chiesta per qualche secondo, prima di mettermi a scrivere, se la mia opinione su Una serie di sfortunati eventi fosse influenzata dal fatto che ho adorato i libri e che per me la saga di Lemony Snicket è stata una rivelazione, tra l’altro una rivelazione avvenuta non molto tempo fa.

No, questa recensione non è compromessa dal mio amore per l’opera da cui sono tratti, perché Una serie di sfortunati eventi nella trasposizione Netflix di Mark Hudis e Barry Sonnenfeld rende l’universo creato da Daniel Handler ancora più complesso, assurdo e ricco di segreti; in questa seconda stagione, uscita il 30 marzo sulla piattaforma, questi elementi sono così cristallini e perfetti che la rendono, per ora, una delle serie più belle e sinceramente godibili di questo 2018. Lo spettatore è catturato in modo irrimediabile nella pastoia della narrazione.

Qualche spoiler in vista, siete avvertiti.

La storia riprende dal punto esatto in cui l’avevamo lasciata nella prima stagione: gli orfani Baudelaire in attesa di incontrare il preside della Prufrock Preparatory School, Olaf pronto a mettere in atto un nuovo piano, Larry, your waiter sulle loro tracce per consegnare loro un libro che risponde a tutte le domande da cui sono infestati, e sopratutto Lemony Snicket che sbuca in un sistema fognario addobbato da cartelli con indicazioni piuttosto interessanti che ancora una volta avverte lo spettatore, anche lui riprendendo da dove aveva lasciato la sua narrazione:

You probably shouldn’t be here. This is a secret passageway in a restricted area about one third of the way through a dreadful and upsetting story. My name is Lemony Snicket. If you’ve been following the story as closely as some people have, then you know that nobody should be here.

La serie Netflix prende gli elementi dell’opera letteraria e non solo riesce a trasporli in maniera perfetta (davvero, prendete nota amici che volete fare una serie da un libro, è così che si fa), ma sopratutto arricchisce la trama, aumenta la suspense e le difficoltà, insidia la visione con nuovi drammi e problemi, ponendo enfasi su alcune trame e intrighi che nei libri avevano un corso più lento (o che vengono trattati in modo più ampio in opere collaterali, come The Unauthorized Autobiography, The Beatrice Letters e aggiungendo anche qualche citazione alla nuova saga All the Wrong Questions). Per questo viene dato spazio ai membri del V.F.D. mettendo alle calcagna di Olaf non solo Jacques Snicket ma anche Olivia Caliban, interpretati da Sarah Rue e Nathan Fillon, entrambi taglienti, due perfetti volontari. Ma la medaglia di casting perfetto se la guadagna Lucy Punch: la sua Esmé Gigi Geniveve Squalor è infuriata, ossessionata e vanitosamente sadica. Niente di nuovo da aggiungere su Neil Patrick Harris che per me è Olaf, punto.

Gli elementi portanti della saga sono quindi messi in scena con cura, come il bizzarro.

Il luogo e il tempo di Una serie di sfortunati eventi sono continuamente contaminati e così anche nella serie viene costruita alla perfezione, tramite scenografie, costumi, props, un’estetica riconoscibile, unica. Anche in questa seconda stagione a ogni libro sono stati dedicati due episodi. In tutto quattro luoghi differenti, quattro impalcature immaginarie folli, assurde e surreali: l’attico dei coniugi Squalor, l’entroterra, la tagliatella grande di Esmé. Un bizzarro che compromette anche le azioni, i comportamenti e le conseguenze: gli alunni della Prufrock, il pubblico che assiste allo spettacolo di Madame Lulu.

Il bizzarro fa coppia con l’ironia; il linguaggio è un gioco, può essere un’arma, può diventare una trappola, può nascondere un inganno. L’ironia strizza l’occhio a chi ha letto i romanzi, come quando Olaf chiede sospettoso “Who could that be at his hour?”, o diventare narrazione metatelevisiva:

You sound cold. Are you in the mountains? We’re not due there until the end of the season.

Ma sopratutto Una serie di sfortunati eventi altro non è che una grande riflessione sull’esistenza, un discorso pessimista trattato con humour nero, insieme a quegli elementi di cui abbiamo parlato poco fa. L’esistenzialismo si insinua ovunque, nei membri del V.F.D. il cui motto è “The world is quiet here”, e nel Conte Olaf che agisce perché la vita non è giusta, non è comprensibile. Del resto qualche altra serie vi consiglia di guardarne un’altra?

E qui grazie a una trama ancora più claustrofobica e a un intreccio ancora più fitto e ritmato la spiacevolezza e l’insensatezza di quello che accade ai Baudelaire, di quello che è accaduto al V.F.D. di quello che “Olaf knows” sono portati a livelli estremi, eclatanti. Nella serie bisogna prestare attenzione a tutto quanto, perché, proprio come nella realtà, anche quello che può sembrare una sciocchezza è di estrema importanza.

C’è qualcosa che tiene insieme una storia, qualcosa che passa da una zuccheriera, che viene detto in un taxi, che ha a che fare con dei dardi avvelenati, con una donna vestita da libellula e con un laconico narratore. Ovviamente, come nella vita vera, è impossibile ottenere tutte le risposte, e se alcuni misteri sono risolvibili la verità va pagata a caro prezzo. E infatti Lemony Snicket vi avverte: lasciate perdere.

Ogni episodio di Una serie di sfortunati eventi è un passaggio del testimone che svela altri enigmi, aggiunge inganni, mentre aumenta la crudeltà di Olaf e vengono impilati nuovi problemi e sofferenze per Baudelaire e, da adesso, anche per i Quagmire. Questa seconda stagione è più nera della precedente (e conta la morte di due coraggiosi membri del V.F.D.) e la storia ancora non è finita: ma del resto la vita è un cliffhanger, e sperare di poter sapere cosa succederà a Violet e Klaus e se raggiungeranno mai le montagne, dove sia la zuccheriera, a cosa serva la zuccheriera, se Sunny se la caverà sola con Olaf è una domanda che può far solo far scuotere la testa a Lemony Snicket.

Ogni domanda è davvero una domanda sbagliata.

Diletta Crudeli

Classe '91. Pur avendo studiato Beni Culturali ed editing credo di saperne di più sui viaggi nel tempo e sulle zone infestate. Leggo un sacco di libri e cerco sempre di avere ragione, bevo tanto caffè, e provo piacere nell'essere un’insopportabile so-tutto-io. Per intrattenervi posso recitare diversi sketch dei Monthy Python.
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