
Un’attrazione primordiale – Jurassic Park
Il film del 1993, primo di una fortunata ma non sempre vincente serie, coniuga alla grande la nostra attrazione fatale per i dinosauri e tematiche più serie
Allora, vi svelo un segreto: da piccolo ero letteralmente MALATO di Dinosauri. Non credo ci sia niente di strano dato che, per la generazione di maschietti nata tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, la cosa era piuttosto comune.
Io però non amavo solo i dinosauri, credo sia più corretto nei loro confronti dire che li veneravo all’inverosimile, li sognavo la notte, giocavo solo con loro, schifando costruzioni, macchinine e videogiochi. Ne ho tuttora una vagonata, di ogni colore, forma e grandezza. Finché non ho potuto farlo autonomamente, obbligavo i miei poveri genitori a leggermi continuamente libri a riguardo. Volevo sapere tutto: quando erano vissuti, cosa mangiavano, quanto erano alti ecc.ecc.
Potete immaginare cosa rappresentasse per me un film come Jurassic Park: ancora adesso non nascondo che, quando quella cazzo di maledetta musichetta di John Williams fa da sottofondo alla scena dove appare il brachiosauro (“guarda!! si muovono in branchi”) faccio enorme fatica a trattenere una lacrimuccia.
Jurassic Park, giusto per coloro che hanno vissuto sotto un sasso fin’ora, è tratto dall’omonimo romanzo distopico di Michael Crichton e racconta di una multinazionale che, grazie a del sangue trovato dentro una zanzara conservatasi perfettamente nell’ambra, riesce a riprodurre un allevamento di dinosauri, destinati ad essere l’attrazione di un avverinistico parco divertimenti. Il proprietario John Hammond (Richard Attenborough), animato sì dalla prospettiva di guadagno, ma anche dall’idea di donare all’umanità un’esperienza unica, convoca tre esperti chiamati a giudicare la validità del suo lavoro, il paleontologo Alan Grant (Sam Neill), la paleobotanica Ellie Sattler (Laura Dern) e il matematico Ian Malcolm (Jeff Goldblum), oltre ai suoi adorati nipoti.
Penso sia parecchio scontato che, avendo attorno degli animali preistorici di millemila metri, di cui molti carnivori, qualcosa che va storto debba esserci. Infatti ci sarà!
Questa sì che è una bella montagna di merda! (Ian Malcolm)
Jurassic Park è senza dubbio una figata di pellicola. Possiede un alto tasso di spettacolarità e azione. Sfido chiunque lo abbia visto al cinema a non rimanere pietrificato, attaccato alla sedia, vedendo il bicchiere d’acqua percepire le vibrazioni del Tirannosauro che sta arrivando, assetato di sangue; oppure quando i Raptor fanno la caccia alla volpe in cucina con i nipoti del riccastro. Porcadiquellaputtanahoibrividisoloapensarci.
Penso sia il fascino irresistibile di quella paura primordiale, comune a tutti, che intorno a noi ci siano esseri contro cui non potremmo fare niente per sopravvivere, unita al fatto che questi lucertoloni appartengano a un tempo indicibilmente lontano da noi, mantenendo quindi un margine di mistero, che nessuna ricostruzione al pc potrai mai colmare. Un fattore questo che senza dubbio non è più associabile, ad esempio, a un leone o a uno squalo, esseri che possiamo ormai considerare come contigui, grazie alla odierna facilità di accedere al loro mondo, attraverso foto e documentari.
Ma cosa lo rende un film davvero valido, diverso da tutti gli altri film con gigamostri, dinosauri e simili?
L’opera di Steven Spielberg rappresenta perfettamente quella che è la grande abilità di colui che è largamente considerato come il più grande regista di Kolossal cinematografici di sempre, che agisce seguendo precisi step:
Step 1 – Prendere un soggetto che per sua natura attira già lo spettatore come mosche al miele: un alieno che arriva sul nostro pianeta, uno squalo che ammazza tutti o i dinosauri che tornano sulla terra.
Step 2 – Chiamare il meglio del meglio che Hollywood offra: attori, curatori di colonne sonore e di effetti speciali.
Step 3 – Unire il tutto con una regia assolutamente perfetta.
Step 4 – Il punto più importante: dipingere una storia che non punti tutto sull’intrinseca spettacolarità del soggetto, impostandola in modo da rendere lo squalo, E.T. o dei lucertoloni preistorici il pretesto narrativo apparentemente centrale per raccontare qualcosa di più importante (guarda caso è proprio questo il MacGuffin).
Questo è il motivo per cui questo film funziona. Questo è il motivo per cui non è solo un altro film d’azione tutto esplosioni, sparatorie e ruggiti. Non è la storia dei dinosauri che, riportati dagli uomini sulla terra grazie alla scienza genetica, si liberano e distruggono tutto. La storia parla invece degli uomini che, irretiti dall’opportunità di cambiare il corso naturale delle cose e di guadagnare, si rapportano con questa possibilità e con gli avvenimenti che ne conseguono.
La mancanza di umiltà di fronte alla natura che si dimostra qui… mi sconvolge. Lei non vede il pericolo che è insito in quello che fa? La potenza genetica è la forza più dirompente che esista e lei se ne serve come un… un bambino che gioca con la pistola del padre. (Ian Malcolm)