Quest’anno il capolavoro di Kubrick è tornato al cinema in una versione restaurata per festeggiare i 50 anni dalla prima proiezione. Ma che effetto fa vedere oggi, per la prima volta, 2001: Odissea nello spazio, un film che ha posto una pietra miliare nella storia del cinema?
EBBENE SÌ, NON AVEVO MAI VISTO 2001: ODISSEA NELLO SPAZIO
Questa vicenda nasce dalla consapevolezza della mia ignoranza, perché chiunque penserebbe che sia impossibile arrivare a 24 anni, spacciarsi per amante del cinema sci-fi e non aver mai visto 2001: Odissea nello spazio. E invece è proprio così, però non fustigatemi, questa è la storia della mia redenzione!

Diciamo che arrivi a un certo punto della vita in cui ti guardi indietro e fai mente locale, come quando stai per partire per le vacanze e cerchi di ricordare se hai preso tutto. Hai i documenti, il costume da bagno, i figli, le cuffiette… sembra tutto e invece no! Hai dimenticato il cazzo di gas aperto (nella prima casa che progetterò scriverò GAS a caratteri cubitali dietro la porta d’ingresso).
Ecco, per me è stata un po’ la stessa cosa, in un momento di intima introspezione in cui rimuginavo circa a che punto fosse la mia vita ho ricevuto l’illuminazione: belin, ho 24 anni e non ho mai visto 2001: Odissea nello spazio.
Mi sono vergognato non poco, lo ammetto, soprattutto perché avevo passato gli ultimi 5-6 giorni a recuperare puntate di 4 Ristoranti con Alessandro Borghese. Ma che io non sia un cinefilo penso si sia già capito, se siete ancora qui è perché forse anche voi siete dei semplici e genuini amanti del cinema come il sottoscritto.
Anzi, ero quasi spaventato dalla mia decisone: sarei stato all’altezza, come spettatore, del film di Kubrick?
L’ASPETTATIVA
Credo non sia facile andare a vedere a cuor leggero un film del genere perché l’aspettativa gioca sempre brutti scherzi (cit.) e non solo per la pellicola in sé, ma anche per quello che si aspetta di provare lo spettatore. Con il dubbio di non riuscire ad arrivare a concepire un’opera così densa di significato, ma al film in sé ci arriveremo.

Il problema primitivo forse deriva dal fatto che quando uno si appresta a vedere un film universalmente riconosciuto come “capolavoro” si sente quasi in obbligo nell’adorarlo, senza dare una chance al proprio cervello e al proprio cuore di elaborare una visione alternativa o perlomeno personale di quello che starà per guardare.
Poi però mi sono ricordato le sagge parole di mio padre, che un giorno stava leggendo una Gazzetta dello Sport vecchia di almeno due giorni. Io, da buon rompicoglioni, comincio chiedergli il perché stesse leggendo un giornale vecchio e lui mi disse con limpida innocenza “Anche se è un giornale vecchio io non l’ho mai letto, quindi per me è come se fosse nuovo”.
Tralasciando la concezione del tempo di mio padre (che in confronto Eraclito levati), c’era della gran verità in quelle parole e con la stessa limpida innocenza ho deciso di buttarmi nella disanima di 2001: Odissea nello spazio senza preconcetti.
IL GIORNO FATIDICO
Complice della mia scelta anche il fatto che quest’anno l’opera di Kubrick ha compiuto i primi 50 anni di vita e in tutto il mondo è stata proiettata la versione restaurata, presentata all’ultimo Festival di Cannes da nientepopodimenoché Christopher Nolan, in veste di direttore dei lavori.
Ecco, io non ho visto la versione restaurata ma una normalissima copia in dvd proposta dal mio ormai piccolo cinema di fiducia, dopo che quasi tutti coloro a cui avevo chiesto di accompagnarmi avevano declinato il mio invito, probabilmente presi dallo sconforto sopracitato. Ero preparato a questa eventualità, sapevo di non starli invitando a vedere Jurassic World, però vabbè, tentar non nuoce mai.

In realtà la sala risulta strapiena per la prima volta dopo mesi di frequentazione del posto e mi rincuoro notando che il richiamo di un film del genere non può che aumentare con il passare degli anni.
Dopo circa 10 minuti di schermo nero e suoni psichedelici cominciano gli altrettanto psichedelici titoli di testa mentre l’inquadratura segue l’allinearsi di pianeti sotto le note imponenti di Also sprach Zarathustra (Così parlò Zarathustra) di Richard Strauss. Inutile dire che mi si è accapponata la pelle.

TA-TAAAN
L’ALBA DELL’UOMO
La prima parte del film è quella del famosissimo prologo con gli uomini-scimmia, che per primi si imbattono nel gigante monolito nero, messo lì da chissà chi. Con un preciso scopo però, quello di svegliare la scintilla della violenza nel genere umano e iniziare così un lungo processo di evoluzione. Io personalmente non ho visto altre letture se non questa perché il passaggio da sopravvivenza a conquista mi è apparso fin troppo lampante.
Il salto temporale che apre la seconda parte è scandito dal più audace dei match cut, dove l’osso lanciato in aria si trasfigura in una navicella diretta verso la stazione spaziale V, il tutto ricreato con un’immaginazione frutto di un genio inequivocabile se contestualizzato nel 1968. Ecco, guardando le astronavi danzanti davanti ai miei occhi mi rendo conto che cose come Star Wars, Alien o Interstellar non esisterebbero neanche senza questo film, e vederlo in prima persona è l’unico modo di rendersene davvero conto.

Io comunque seguo il Dr. Floyd (William Sylvester) mentre si districa con naturalezza tra un pasto liquido e una videochiamata (e io che pensavo le avesse inventate Valeria Marini) sulla stazione spaziale prima di raggiungere il cratere lunare dove è stato ritrovato il monolito nero. E qui c’è la seconda “azione” dell’oggetto misterioso, che invia un segnale alla volta di Giove, prossimo obiettivo da raggiungere per la razza umana.
PAUSA
Giusto per dire che, arrivato a questo punto, lo spettatore potrebbe erroneamente pensare che il film cominci a prendere una direzione narrativa più classica, con una trama lineare, personaggi, dialoghi, ecc. e invece manco per il cazzo, stanno per cominciare le montagne russe.
2001: MISSIONE GIOVE
Sono passati 18 mesi dalla scoperta del Dr. Floyd e una nuova missione si sta dirigendo verso Giove con 5 persone, 2 sveglie e 3 ibernate, più un’intelligenza artificiale infallibile di nome HAL, serie 9000. Anche qui Kubrick anticipa spaventosamente i tempi futuri, immaginando un super-computer tanto simile all’uomo nel pensare da potersi sostituire all’essere umano stesso.

David Bowman (Keir Dullea) e Frank Poole (Gary Lockwood) sono i due astronauti svegli che si rendono conto che HAL forse non è così infallibile come dice di essere ed elaborano un piano per disattivarlo. Se non che a lui questa cosa non va molto a genio e tenta di far fuori tutti i suoi piccoli e mortali compagni di viaggio. Tutti tranne David che riesce a salvarsi per miracolo e disattiva HAL in una scena straziante dove il computer arriva a chiedere pietà all’essere umano. Cioè tra i mille mila temi che Kubrick ci butta in faccia riesce a far provare allo spettatore un turbinio di emozioni che vanno dalla paura all’ansia, alla rivincita sulle macchine e infine pena per le macchine stesse.
Chissà cosa penserebbe oggi, vedendoci parlare a tu per tu con i vari Siri e Google Assistant.
Comunque, per tornare al film, David scopre la vera ragione della missione e si lancia verso Giove a tutta velocità, venendo risucchiato da un vortice di colori e forme in stile Guitar Hero che provocano uno stato di allucinazione molto più che metaforica, in grado di far perdere davvero la cognizione di tempo allo spettatore (10 minuti scarsi li ho percepiti come ore).

Tutto questo prima del gran finale, ai limiti dell’horror psicologico, in cui una stanza senza tempo fa da culla alla trasformazione fisica di David da semplice essere umano a entità superiore la cui ultima forma è quella dello Star Child, sulle orme ancora una volta di Strauss e a sua volta di Nietzsche.
DOVE FINISCE L’IMMAGINAZIONE E COMINCIA IL TRIP
Ammetto che il primo pensiero post-film è quello di aver appena assistito al trip di un tuo amico, che te lo racconta con invidiabile dovizia di particolari. Poi però ho lasciato sedimentare il tutto, ho letto decine di osservazioni riguardo le possibili letture del film (non ultima la rinvenuta registrazione dello stesso Kubrick) e ho capito che di trip c’è ben poco.

Forse è proprio qui che sta la distinzione tra bel film e capolavoro: il capolavoro è quello che dopo una prima lettura ti porta a un livello di ricerca inferiore, e poi a un altro e un altro fino a riempirti il cervello di una quantità smisurata di informazioni.
L’evoluzione umana, il dilemma tra uomo e macchina, il futuro, gli extra-terrestri, Dio, la rinascita, in questo film c’è di tutto. Ma non come se fosse un minestrone, è come se tutti gli elementi possano vivere di vita propria ma allo stesso tempo si legano e si necessitano l’uno con l’altro.
Alla fine non c’è proprio nulla di semplicemente spettacolare. In 2001: Odissea nello spazio c’è tutta la megalomania di Kubrick, che pretende condensare in 2 ore e mezza di film la storia dell’uomo. TUTTA la storia, passata, presente e futura! E per di più aggiungerci anche quella di qualche essere extra-terrestre che passa il tempo mandando in giro per l’universo parallelepipedi neri in grado di fare cose che noi umani non possiamo neanche immaginare.
Se dovessi riassumere in poche parole tutta questa menata che vi ho appena tirato direi che guardare questo film nel 2018 equivale a farsi esplodere una bomba all’idrogeno nel cervello. Uno spettacolo!