
Veloce come il vento
Veloce come il vento. Che brutto titolo. Forse è un problema mio, ma questo titolo non può non strapparmi un sorriso. Se c’è una cosa che non posso perdonare al regista Matteo Rovere (o ai produttori, non so di chi sia la colpa) è di aver scelto un titolo degno di un libro di Fabio Volo o Alessandro D’Avenia. Preso atto di ciò, parliamo del film.
Negli ultimi due anni è stato dimostrato che un certo tipo di cinema si può realizzare anche in Italia (Smetto quando voglio, Suburra, Lo chiamavano Jeeg Robot) e Veloce come il vento ne è l’ennesima conferma. Matteo Rovere è riuscito ad amalgamare il più puro dramma sportivo di derivazione USA al contesto provinciale italiano. Perché Veloce come il vento non è un gran film per la sua realizzazione eccezionale e qualitativamente pari a quelle d’oltreoceano. Si tratta invece di un epico racconto di redenzione, che passa attraverso le riuscite dinamiche familiari tra i tre fratelli protagonisti.
A rimanere impresso è uno straordinario Stefano Accorsi. Interpreta Loris De Martino, ex pilota diventato tossicodipendente e poi allontanato dalla famiglia. Accorsi si prende i suoi rischi esagerando nella caratterizzazione, ma riuscendo comunque a non far scadere mai il suo personaggio in una banale macchietta. Sue sono le battute migliori (“Guarda che disperati veri si è rimasti in pochi”) e da applausi è il modo in cui ha gestito la trasformazione graduale di Loris, influenzato dal ricordo di un affetto familiare creduto perso per sempre.
Se Veloce come il vento non è circoscrivibile semplicemente all’essere un film di corse automobilistiche lo si deve ad una sceneggiatura che punta coraggiosamente ad esplorare il degrado che caratterizza parte della nostra realtà attuale, preferendolo ad una più semplice favola sportiva. Ciò dà spessore al personaggio di Accorsi e all’intera vicenda, nella quale è preponderante la relazione con la sorella pilota interpretata dalla semi esordiente Matilda De Angelis.
Proprio Matilda De Angelis è un altro dei punti forti della pellicola. Ci troviamo di fronte ad un racconto di persone, ancor prima che di fatti, e la giovane attrice regge benissimo un ruolo classico, ma comunque non facile. Come ho già detto, i momenti più riusciti del film sono quelli che vedono lo sviluppo delle relazioni tra i tre fratelli (il terzo è il più piccolo, di circa dieci anni) e in particolare i due protagonisti funzionano benissimo insieme.
Per il resto, da applausi la fotografia e la regia. Tanto nelle sequenze delle corse (che devono molto al recente Rush di Ron Howard) quanto nelle scene più statiche, dove la camera a mano sottolinea lo stato costantemente alterato del protagonista e dona all’opera un gusto squisitamente indie. Sia chiaro che non ci troviamo di fronte ad un capolavoro: di pecche vere e proprie non ce ne sono, ma in sostanza non si tratta nemmeno di un film rivoluzionario.
Esaltato sicuramente dal mio lato più patriottico, dico che Veloce come il vento è un altro tassello che va a formare questa “new age” del cinema italiano, rinvigorito da una nuova generazione di registi. Registi sotto i quaranta, formatisi col cinema americano degli ultimi anni e al quale devono le maggiori influenze.
In particolare, Veloce come il vento è un riuscito tentativo di emulare il racconto epico hollywoodiano, affrescandolo con squarci sociali esclusivamente nostrani.