
Il venditore di medicine: an italian job
Dopo anni e anni di faticoso arrancare nella polvere dell’anonimato, il cinema italiano di qualità è finalmente tornato a battere un colpo (se volete ripassarvi qualche titolo recente, vi rimando al report sui David di Donatello).
Tuttavia, non è che negli anni scorsi non si sia prodotto proprio un beneamato di decente in questo bizzarro paese a forma di scarpa. Anzi, sono usciti parecchi film di qualità, ambiziosi ed estremamente coraggiosi, che però, naturalmente, non si è cagato nessuno.
Che vuoi farci, l’italiano medio odia essere informato. Non è colpa sua eh, è che proprio gli fa venire la psoriasi. È un problema di genetica.
Ecco perché un filmone della stramadonna come Il venditore medicine di Antonio Morabito, uscito nel 2013 e distribuito in qualcosa come una ventina di sale, non ha ottenuto nemmeno un centesimo del successo e della popolarità che avrebbe meritato. E il suo sostanziale fallimento dal punto di vista distributivo è l’ennesima prova di un Paese che fatica tremendamente a guardarsi allo specchio.
Almeno nella sua maggioranza, ovviamente. Che se no film del genere manco esisterebbero.
Il venditore di medicine è infatti un vero e proprio film di denuncia di stampo statunitense. Che gli americani avranno una marea di difetti, ma non si fanno certo pregare a denunciare le loro porcate (vedi il grande successo dei film di Michael Moore).
Il film di Morabito si impegna a denunciare la pratica del comparaggio, tristemente nota a chi è pratico del sistema sanitario nazionale. Di che si tratta? Spiegazione in parole semplici: le aziende farmaceutiche, tramite i propri informatori, presentano ai medici e agli ospedali i propri prodotti, che dovrebbero rappresentare le ultime novità in fatto di ricerca e di qualità. I medici scelgono poi in base alla propria esperienza e alle proprie preferenze i farmaci da adottare e da somministrare ai pazienti.
Ovviamente, se un medico decide di adottare uno specifico farmaco, l’azienda che lo produce ha un rientro di denaro. Ecco perché riuscire a piazzare un farmaco per una casa farmaceutica equivale più o meno a vincere un appalto.
Ecco quindi che, come sempre, quando i soldi cominciano a girare, il marcio viene a galla.
Può succedere infatti che le aziende, tramite gli informatori farmaceutici, arrivino a fare dei regali ai medici, a patto che questi si impegnino a diffondere il loro farmaco. E più il medico si impegnerà a favorire la casa farmaceutica, arrivando a prescrivere farmaci anche in casi non necessari (tipo ai morti. True story) i regali aumenteranno.
Sì, stiamo parlando della solita, vecchia corruzione, solo che ha un nome diverso.
Il venditore di medicine ci sbatte in faccia questa dolorosa realtà fin dalla scena iniziale, che ci mostra una riunione degli informatori farmaceutici della Zafer. I capi dell’azienda non sono contenti di come vanno le cose, e la capo area Giorgia, interpretata magnificamente da Isabella Ferrari, deve rimettere in riga coloro che hanno il compito di piazzare i farmaci negli studi medici.
Il mantra della Zafer è la regola dell’undici, che impone all’informatore di offrire ad un medico un regalo che procuri all’azienda un guadagno undici volte superiore alla spesa sostenuta per la corruzione del medico.
Protagonista del film è Bruno, informatore della Zafer, interpretato dal grande Claudio Santamaria (che quest’anno ha vinto il David per l’acclamatissimo Lo chiamavano Jeeg Robot). Mentre i suoi colleghi vengono licenziati l’uno dopo l’altro, Bruno cerca disperatamente di mantenere il posto di lavoro: la sua unica possibilità di salvarsi è riuscire a piazzare un farmaco dell’azienda ad un primario di oncologia all’apparenza incorruttibile (interpretato efficacemente dal giornalista Marco Travaglio).
Sì, avete letto bene: oncologia. Perché questa gente non si ferma davanti a nulla. Perché in un mondo così marcio e privo di morale, oncologia non significa malati terminali, ma semplicemente “duemila euro a fiala” da far entrare nelle tasche dell’azienda.
Il venditore di medicine, oltre ad essere un ritratto duro e impietoso di un sistema avariato e di una società impazzita, diviene presto la storia di una discesa negli inferi. Totalmente terrorizzato dall’idea di essere licenziato e di non poter più badare alla sua famiglia, Bruno entrerà inesorabilmente in una spirale di disperazione che lo porterà a dimenticarsi della propria coscienza. Sarà un lento e doloroso processo di autodistruzione morale che non risparmierà nessuno, nemmeno la persona che ama, per la quale sta corrompendo la sua anima.
Grazie ad una regia fredda e impassibile e ad un cast in forma strepitosa, l’opera denuncia di Morabito è un successo artistico totale. Il venditore di medicine è una morsa allo stomaco che diventa sempre più forte e non ti lascia nemmeno al termine della visione. Il film è permeato da un senso di angoscia e di pessimismo così accentuati che rimane incollato addosso indelebilmente, come una macchia di sporco impossibile da lavare.
In un periodo nel quale opere come Gomorra e Suburra vengono giustamente lodate proprio per il loro ruolo di sensibilizzazione nei confronti di certe tematiche scottanti, un film come Il venditore di medicine merita assolutamente di essere riscoperto.
Sia perché indaga su una gravissima stortura della società di cui non tutti sono al corrente, e che è bene conoscere.
Sia perché stiamo parlando di un’opera dal grandissimo valore artistico.
Che a noi alla fine è del cinema di livello che ci frega veramente.
E ve lo posso assicurare, in questo film se ne trova assai.