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Venezia 73 – Daily 7 settembre – Il peggio bidone della Mostra

Ribadiamo quanto sia figo The Bad Batch

Riacchiappo al volo la palla lanciata da Francesca (la quale stamattina ha lasciato L’Isola Della Perdizione): di qui fino alla fine del festival sarà la vostra affezionatissima pennivendola a deliziarvi con le ultime baggianate lidesi.

Ci tengo innanzi tutto ad aggiungere due righe su The Bad Batch, che ho recuperato stamattina. Sì, lo so che ne avete già
parlato, *BAHBAHBAHNONVISENTO*, il fatto è che sono entusiasta come un cucciolo di cocker. Saltello giubilante da quando sono uscita dalla sala, con le mie molli orecchie cartilaginose al vento: The Bad Batch ha reso felice la mia bambina interiore. Quella che vive dentro Fallout, per capirci.

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È – a mani basse – il mio film preferito so far in questa rutilante e rocambolesca e avventurosa mostra del cinema.
Cagione di tanto entusiasmo è soprattutto il personaggio della protagonista, che ho trovato misterioso & intrigante:

– come mai è finita nel “lotto sbagliato”? La sua storia non viene mai rivelata.
– perché ci tiene così tanto a truccarsi in un mondo postapocalittico?
– come ha fatto a ritrovare l’equilibrio così in fretta dopo che le avevano tranciato una gamba e un braccio?
– che ci trova di speciale in Jason Momoa? (Ok, ok, questa era una botta di sarcasmo).

Il bidone di The Dark Night

Facendo un piccolo passo indietro, vi racconto la mia tragica giornata di ieri, che si è aperta con la mia gloriosa Prima Uscita Dalla Sala In Anticipo del festival. Tutta colpa di quel pacco abissale e/o bidone di The Dark Night.

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The Dark Night avrebbe dovuto essere un docu-fiction-ciccio-pasticcio sulla strage avvenuta alla prima del Cavaliere Oscuro, e sulla diffusione e reperibilità eccessiva delle armi negli Stati Uniti. Dico “avrebbe dovuto” perché se non ne avete idea in realtà vedrete questo:

– primo piano dell’occhio di una ragazza con l’eye-liner sbavato
– un tizio che vive con la madre e gioca ai videogame online
– la tartaruga di un altro tizio che porta fuori i cani
– un reduce di guerra che va agli incontri di gruppo per superare il trauma
– una ragazzetta che si fa i selfie

E così via, a ruota. Bidone, bidone e bidonata, ergo al quarantesimo minuto sono uscita (cercando di non inciampare sui testicoli caduti degli spettatori uomini). Una mia eroica amica rimasta fino alla fine conferma che s’andava avanti spediti in quel modo – con le simpatiche scenette di vita quotidiana per la serie “la vastità del cazzo che me ne frega”. E che da ultimo si capiva, semplicemente, quale di queste persone avrebbe compiuto la strage. Vivevo molto bene anche senza saperlo, ma se volete risparmiare un’ora e mezza della vostra vita – SPOILER ALERT – si tratta del tizio coi cani e la tartaruga. Bella lì.

Gli altri film

Al pomeriggio avrei dovuto vedere Une Vie (che mi dicono dalla regia essere un bidone inaudito) ma al Lido si è scatenata la tempesta perfetta. Me ne sono rimasta cucita in casa a bere il teuccio e a chiacchierare dal balcone col Kraken di passaggio. Tengo un’età.
Tutte le mie speranze, insomma, erano riposte in Tommaso, il film da regista di Kim Rossi Stuart. Piccolo inciso su Kim Rossi Stuart: l’ho apprezzato in ruoli drammatici (come Vallanzasca) ma non c’è nulla da fare. Per me resterà sempre Romualdo. Kim Rossi Stuart e Daniel Radcliffe hanno molto in comune e non lo sanno.

Voci di corridoio insinuavano che Tommaso fosse la brutta copia di un film a caso di Nanni Moretti. Non è così.

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Semplicemente, Kim Rossi Stuart con la barba e il capello alla De André sembra il figliolo magrolino di Nanni Moretti. Fine delle analogie con un film a caso di Nanni Moretti.

Diciamo che non impazzirò a cercare il blu-ray tra qualche mese, ma Tommaso l’ho trovato simpatico e carino. È la storia di un attore di mezza età che si stufa in tre-due-uno delle sue relazioni amorose, e si ritrova impantanato ogni volta al punto di partenza. Decide di prendere di petto le sue nevrosi ma non è così semplice,e via discorrendo.

Pregate per me intensamente, ché oggi pomeriggio vado a vedere il film di Malick. Sospettiamo sia malato: Life’s Journey dura solo novanta minuti.

Vada come vada, ne parleremo domani: riponete i popcorn e andate in pace, il Daily è finito.

Sara Boero

Sua madre dice che è nata nel 1985, a lei sembrano passati secoli. Scrive da quando sa toccarsi la punta del naso con la lingua e poco dopo si è accorta di amare il cinema. È feticista di Tarantino almeno quanto Tarantino dei piedi. Non guardatele mai dentro la borsa, e potrete continuare a coltivare l'illusione che sia una persona pignola.
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