Carissimi! Sara Boero mi passa la palla del secondo Daily e quindi oggi cominciamo a entrare nel vivo e parlare un po’ dei film. Devo dire che a Venezia si segnala un incremento del livello di malmostosità generale: ho visto cose come vecchiette chiedere aiuto con i bagagli agli aitanti giovanotti che lavorano sui traghetti e sentirsi rispondere “no che poi se aiuto lei devo aiutare tutti”, poliziotti incazzati su cavalli ancor più incazzati (poverini), addetti che ti chiedono di metterti in coda con un certo anticipo ma non troppo presto, registi islandesi che ti testano a dura prova (vedi Daily 1), quindi l’atmosfera è caldissima.
Under the Tree
A proposito del film Under the Tree, di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson, di cui già vi ha già accennato Sara ieri: non è stato proprio un inizio scoppiettante e allegro. Il tema è la “classica” guerra tra vicini di casa, portata però al massimo eccesso immaginabile. Avete presente l’adagio a cui ci ha abituati il cinema americano per cui va bene tutto tranne uccidere gli animali? Ecco. Qua siamo all’esatto opposto. Non vi dico nulla, ma ciò che lascia trasparire il film è che se in Islanda tu vai da un normale veterinario con un cane non tuo e gli dici “guardi sono il suo padrone ma mi sono stufato di averlo, lo uccida e me lo impagli”, è tutto normale.
Fermate l’Islanda subito.
The Shape of Water
L’anteprima stampa del giorno 31 è uno dei film che attendevo di più, ovvero The Shape of Water di Guillermo Del Toro – regista di Crimson Peak, Pacific Rim, Hellboy, Il labirinto del fauno. Insomma: una garanzia che stiamo per vedere bella roba.
E infatti il film rappresenta la sua ennesima fiaba dark, stavolta però più dolce che amara. La storia, ambientata nella cornice vintage dell’America della Guerra Fredda, racconta l’amore tra una donna delle pulizie di un laboratorio scientifico e… il classico mostro della laguna.
Protagonista implicita della pellicola è l’acqua: è un film umido in tutti i suoi aspetti, l’acqua filtra, riempie, dilata, rompe e rigenera. Elisa, la protagonista, è una donna senza radici, completamente muta, con pochi amici fidati che riempiono la sua vita: Giles (Richard Jenkins), artista omossessuale di mezza età vicino di casa, Zelda (Octavia Spencer), collega di lavoro che, ciarliera e di carattere, rappresenta un po’ il suo rovescio. E poi c’è lui: …Coso. Non ha un nome: è un “merman”, mezzo uomo mezzo tritone, esteticamente molto affine all’Uomo Pesce di Hellboy ma più realistico. Elisa e il sirenotto, con il puro linguaggio dei segni, si incontrano nel laboratorio dove lui viene tenuto prigioniero dopo la cattura, fanno amicizia, si innamorano.
E no, non è una relazione solo platonica: ad un certo punto del film ci viene spiegata, in maniera relativamente inequivocabile, la singolare anatomia sessuale dell’essere.
Ma il legame tra questi due freak viene funestato sia dal cattivone americano interpretato da Michael Shannon, convintissimo che il “mostro” sia più utile sulla tavola da autopsia che da vivo, sia dai russi, per cui la priorità è soltanto ammazzare la creatura prima che lo facciano gli statunitensi. As usual.
Il film è delicato, la regia raffinata, la sceneggiatura non insulta l’intelligenza dello spettatore e lascia libera l’interpretazione sulle origini di Elisa, del suo mutismo e delle strane cicatrici che ha ai lati del collo… C’è anche un momento canto-ballo che ricorda molto da vicino un certo film d’apertura dell’anno passato, La La Land (too soon).
Un film, insomma, che prende una creatura della mitologia – religiosa e cinematografica – e ne ribalta lo scopo, facendone una sorta di “principe” di una favola romantica, una di quelle che potrebbero raccontare le nostre nonne. Quando si sentono in vena di essere un po’ creepy.
Abbiamo anche assistito alla conferenza stampa, e posso confermare ch Guillermo del Toro, a dispetto dei suoi film, nella realtà è gioviale e sempre preso benissimo: si è intrattenuto a fare foto con tutti e ha raccontato come, nonostante la fama, ancora oggi trovi difficoltà a scovare finanziamenti per le sue idee, sempre considerate troppo bizzarre dalle case di produzione. Il suo progetto per un nuovo adattamento di Pinocchio è in cerca di produttore da tipo dieci anni.
Se volete fargli una donazione su Cofy…
Simpaticissima Olivia Colman, adorabilmente imbranata Sally Hawkins, e adorabile pure Richard Jenkins (che per noi resterà sempre il papà della famiglia Fisher in Six Feet Under), tutti presenti in sala, oltre a quell’altro monumento che è Alexandre Desplat, il compositore della colonna sonora.
First Reformed

Poco da dire su questo film di Paul Schrader con Ethan Hawke e Amanda Seyfried: brutto, brutto, brutto, brutto e brutto.
L’ho detto anche alla RAI quando mi ha schiaffato un microfono sotto il naso appena fuggita dalla sala: non ho capito.
La trama ve la posso riassumere in brevissimo: un prete con un tragico passato alle spalle conosce una coppia di attivisti ambientalisti. Lei è incinta, lui vuole che abortisca a causa del riscaldamento globale, lei non vuole, lei parla col prete, il prete parla con lui, lui si suicida, il prete diventa attivista, progetta di fare un attentato in chiesa e intanto ronza attorno alla vedova incinta.
Fine.
Brutto. Cringe. Ridicolo.
Se eravate tra coloro che applaudivano in sala siete perzone falze.
Ora ho solo voglia di allargare il buco nell’ozono.
The Insult
Un altro film, dopo Under the Tree, che tratta l’escalation dell’aggressività a partire da un futile motivo, ma che lo fa mille volte meglio: The Insult di Ziad Doueiri ambientato a Beirut. Il tema è delicato, poiché a fare da sfondo stavolta non sono alberi che fanno ombra al vicinato, ma il conflitto libano-israelo-palestinese.
Tutto nasce da un piccolo diverbio su un tubo che perde, che porta prima a un insulto, poi a un’aggressione verbale, poi a una fisica: i motivi dietro questa ostilità sono, da entrambe le parti, un pregiudizio razziale – palestinese immigrato in Libano l’idraulico, libanese cristiano l’altro – il che condurrà il loro caso non solo in un tribunale, ma a ottenere un rilievo di portata nazionale al punto da sfuggire al loro controllo.
Bellissimo, estremamente efficace nell’illustrare anche i risvolti meno noti della convivenza geografica dell’area, essenziale ma non per questo semplice, il film gode di una sceneggiatura di ferro e cattura l’attenzione dall’inizio fino alla conclusione.
Nota interessante: il regista libanese è stato, per anni, l’aiuto cameraman di nientemeno che… Quentin Tarantino.
La mano felice e l’esperienza si vedono eccome e, anche se siamo solo al secondo giorno, spero che questo gioiellino venga ricordato in sede di premiazione.
Bene, per oggi è tutto… Mi raccomando se vi innamorate di un mostro marino ricordatevi di salare sempre l’acqua! (Ehi, non per mangiarlo, che avete capito!).