Noto che a Sara (immagino con sua enorme gioia) toccano i film a tematica senile, mentre a me è capitata la pagliuzza dei film foschi con un’atmosfera di marciume che vi aleggia intorno.
Non mi lamento.
Three Billboards Outside Ebbing, Missouri
Il sesto giorno di Lido è stato indiscutibilmente la giornata di Three Billboards Outside Ebbing, Missouri di Martin McDonagh, che pare verrà distribuito in Italia col titolo tradotto più o meno letteralmente Tre manifesti a Ebbing, Missouri a partire da gennaio – in odore di stagione dei premi.
Da McDonagh mi aspettavo già molto in partenza, per aver diretto quasi dieci anni fa quel gioiellino di In Bruges, e il colpo di fulmine per questo film è stato ulteriormente fomentato quando hanno iniziato ad affiggere in giro per il Lido la bellissima locandina, che rimanda all’immaginario di Edward Hopper, della Pop Art, del New Dada di Rauschenberg.
Ve la schiaffo qua.
E niente, mettendo a sopire la storica dell’arte che è in me posso solo aggiungere che il livello di figaggine del poster aumenta solamente nel rendersi conto che è un manifesto che ha come protagonisti dei manifesti.
Billboard-ception.
Il film non ha tradito le aspettative che avevo, anzi: sono rimasta impressionata dai dialoghi e dalla scrittura dei personaggi – che hanno quella frequenza in più di caricatura rispetto alla realtà ma che sono, allo stesso tempo, profondi e lontani da qualunque stereotipo. La trama ha una vita propria, imbocca direzioni inaspettate, fa affezionare immediatamente ai protagonisti.
La storia ruota attorno, fondamentalmente, alla rabbia di una madre la cui figlia è stata stuprata e uccisa in una cittadina dell’America rurale di nome Ebbing. Il motivo della sua rabbia è che il responsabile è rimasto impunito e sconosciuto, e che col passare dei mesi la polizia sembra averci messo una pietra sopra. La donna, dotata di una spina dorsale d’acciaio, decide di affittare tre grossi billboard pubblicitari che sono subito fuori il paese, cadenti non utilizzati fin dagli anni Ottanta, per affiggere un messaggio diretto allo sceriffo – interpretato da Woody Harrelson. In soldoni il succo è: perché la polizia ha rinunciato a cercare l’assassino?
La società civile per intero, incluso il figlio maschio, non apprezza il gesto della donna, considerato poco “opportuno” tanto più che lo sceriffo è molto benvoluto dalla cittadinanza e, soprattutto, è malato gravemente di cancro al pancreas. A notare per primo l’affissione e a incazzarsi particolarmente è l’agente Dixon, interpretato da Sam Rockwell – forse il personaggio più riuscito del film. Poliziotto un po’ tardo che a quarant’anni vive ancora con la madre, su quella sottile linea tra l’essere violento, razzista, omofobo per inerzia (ma unendo i puntini, possibile omosessuale represso stile colonnello di American Beauty) e la potenzialità di redenzione.
Anche il personaggio di Harrelson, il quale visto il ruolo potrebbe facilmente scadere nello standard del “poliziotto stronzo”, in realtà è molto umano e attento a chi lo circonda.
Frances McDormand tratteggia a sua volta una donna forte, fiera, che ha deciso coscientemente di non aver nulla da perdere, e se c’era bisogno di conferme si dimostra ancora una volta un’attrice immensa.
Menzione anche per Peter Dinklage: non solo è adorabile come al solito, ma checché ne venga detto nel film, è il partito migliore dell’intera Ebbing.
Ci vuole poco.
Il film è stato applauditissimo e amatissimo in entrambe le proiezioni stampa e regista e attori sono stati accolti in sala conferenze da un’ovazione. Quindi, quasi tutti i cuori sono uniti a ritenere che meriterebbe di guadagnare qualcuno dei premi in lizza.
Un po’ come accaduto per Birdman due anni fa: nel caso dovesse rimanere a mani vuote a Venezia, ci rivedremo sicuramente agli Oscar.
Momento comicità involontaria del film: a un certo punto, Dixon e la madre stanno guardando un film in tv con Donald Sutherland e lui pronuncia la battuta: “Non se ne può più di Donald Sutherland!” È esplosa una risata in sala considerato che il film di Virzì con Donald Sutherland è stato presentato giusto ieri al Festival e lui è ancora in giro per il Lido. Spero che abbia visto e apprezzato la menzione.
Tornando al film: ve lo straconsiglio. E io straconsiglio raramente.
John Landis presenta la versione rimasterizzata 3D di “Thriller”
Se avete seguito il Daily di ieri, sapete che Landis è un po’ la costante di questi due ultimi anni. Con la scusa di portare al Lido le versioni digitalizzate e restaurate delle sue opere, ci permette di riscoprire un po’ di anni Ottanta e di ravvisare che bella persona sia.
E poi rivedere “Thriller” di Michael Jackson al cinema con John Landis che ce lo introduce quando ci ricapita?
È stata un’esperienza elettrizzante: il 3D è spettacolare, di più di certi film confezionati apposta per il medium.
In conferenza stampa, Landis ci ha deliziato di qualche aneddoto sul giovane Michael. Come un novello Papà Castoro, il regista ci ha raccontato, quasi narrasse una favola, di quando aveva incontrato Jackson nel Magic Kingdom di Disney World e, mentre scattavano una foto insieme a Topolino, furono circondati da un’orda oceanica di fan di Jacko. Landis e Topolino erano spaventosissimi, Michael invece appariva perfettamente a suo agio, salutava tutti abituato a quell’accoglienza “energica”. Il terzetto fu portato in salvo, per un soffio, da una limousine della sicurezza – Topolino compreso – un attimo prima di essere sbranati dalle Baccanti.
Dopo “Thriller” è stato proiettato il Making Of del video, ed è sempre un piacere riportare la memoria a quando MJ era così, e non la maschera di carnevale che io, nata a metà degli anni Ottanta, associavo alla sua persona. Con tutti i suoi problemi era un talento unico, forse irripetibile.
Vado a bermi uno Spritz alla vostra salute! Sperando di non tramutarmi in un lupo mannaro: stanotte c’è luna piena.
I licantropi possono bere Spritz?