Serie TV

Versailles, ovvero la Beautiful del XVII secolo

Dopo il successo di The Crown, che ho adorato, Netflix cavalca la curiosità di noi plebei per la vita e gli intrighi di corte sfornando le due stagioni di Versailles, produzione franco-canadese su Luigi XIV e la sua simpatica famigliola.

Se pensate di rimediare un 6 in Storia guardando questa serie, fate un piacere a voi stessi e aprite i libri, perché non imparerete una beata mazza: il regista, Jalil Lespert, di libertà se ne prende, e parecchia.

Alle licenze poetiche sulla trama fanno da contraltare l’accuratezza della scenografia e dei costumi, fiori all’occhiello del telefilm, insieme al cast, davvero notevole.

Ciò che colpisce è la straordinaria, e a tratti irritante, personalità del Re Sole, uomo imprevedibile, amante del potere tanto da esserne schiacciato.

Trama

Il 28enne Luigi XIV/ George Blagden (Les Misérables, Vikings), sempre al centro di congiure di palazzo, decide di spostare l’intera corte da Parigi al suo casino di caccia nel villaggio di Versailles, così da non perdere mai di vista nobili e servitori.

L’iniziativa non incontra né il favore dei cortigiani né quello del fratello del monarca, Filippo d’Orléans/Alexander Vlahos (Merlin), insofferente al ruolo di secondogenito; impegnato a consolidare lo status di potenza europea della Francia, il Re Sole deve affrontare nemici insospettabili, non disdegnando di concedersi numerose avventure galanti.

Versailles o Sodoma?

Se per la verifica di Storia non serve granché, la visione di questa serie può aiutarvi a capire qualcosina in più del sesso, e se siete in astinenza, a ricordarvi crudelmente cosa vi stiate perdendo.

Perché qui di sesso ce n’è molto, a volte troppo, tanto che alla sua uscita sulla BBC, nel 2016, più di uno ebbe a considerarlo un soft porno.

Esagerazione: ci sono sì scene che lasciano poco spazio alla fantasia, anche quando preferiremmo rimanere nel dubbio, ma abbiamo visto sicuramente di peggio (o di meglio, a seconda dei punti di vista).

La critica che muovo agli autori è l’aver privilegiato il Luigi mandrillo allo statista, per il quale legiferare è solo un hobby tra una ghiandata e l’altra, con tutte le dame disponibili, dalla moglie alla servetta.

Ma non è solo il re a divertirsi, tutta la corte fa sesso di continuo, con gente sempre diversa, senza distinzione di ceto, unico spiraglio di democrazia in un regime assolutistico.

E quando non ghiandano, complottano: spesso Luigi esce dal letto solo per prendere a sciabolate l’ennesimo cortigiano infedele, che di solito ha preventivamente avvelenato mezza famiglia reale, così, perché che divertimento c’è se qualcuno non vomita fiotti di sangue che manco Dio con il Nilo nella prima piaga d’Egitto.

«L’État, c’est moi!» e Filippo ne fa le spese

La celeberrima espressione è ossessivamente ripetuta da Luigi XIV, nelle situazioni più disparate, sia durante un ballo perché la partner gli ha pestato il piede, sia quando ordina di fare qualcosa al riluttante fratello minore, di solito recalcitrante ma che alla fine si piega al volere regale.

Il complicato rapporto fraterno è il perno centrale della trama, che da dramma personale assume connotati politici; Filippo, bello, colto e insoddisfatto rimprovera continuamente a Luigi di tenerlo in disparte, nonostante le inaspettati doti militari, e soprattutto di non amarlo abbastanza.

Dichiaratamente omosessuale benché sposato a Enrichetta/Noémie Schimdt, che si divide tra il marito e il cognato, Filippo reagisce alla condiscendenza del fratello provocando scandali, quali vestirsi da donna e circondarsi di amanti equivoci, per poi ribellarsi quando il re lo richiama all’obbedienza. Una personalità tormentata, quella del Duca d’Orléans, anche storicamente: eterno secondo, eternamente diviso tra amore e odio.

Il binomio Blagden/Vlahos funziona benissimo, glaciale e controllato il primo, sensibile e intemperante il secondo: l’efficacia del personaggio risiede nei suoi freddi occhi blu e nella misurata mimica facciale e di movimenti (il cast ha studiato attentamente l’etichetta di corte, e i risultati si vedono), mentre Vlahos è iperattivo e irrequieto.

Di fatto, si accattiva la simpatia del pubblico perché è l’unico umano, per quanto non perfetto, in un consorzio senza scrupoli e moralità.

Conclusioni

Dunque: i difetti ci sono, e parecchi.

Molto, troppo sesso e poco potere, il che non è necessariamente un male, se ci si vuole concentrare su quel determinato aspetto (veritiero, peraltro) del personaggio ma da una serie che si propone di analizzare l’uomo E il re mi sarei aspettata più attenzione nel conciliare le due facce della medaglia.

Tolti alcuni elementi trash e momenti troppo e inutilmente splatter, Versailles si segue agevolmente, i personaggi come detto sono ben caratterizzati e interessanti, la trama è avvincente e c’è una bella colonna sonora, cosa di non secondaria importanza.

Se dal tono non sembro entusiasta, un motivo c’è: manca qualcosa, quel je ne sais pas quoi che mi farebbe dare un voto più alto.

Ah sì, ho capito cos’è che mi turba: Ridge Forrester si è trasferito alla corte del Re Sole, anzi, è proprio lui.

Ilaria Pesce

Pontifico dal 1990. La mia idea di sport è una maratona di film o di serie TV: amo il cinema drammatico, i gialli e la Disney. Sono una lettrice onnivora ed insaziabile. Ascolto musica di ogni genere ma soffro di Beatlesmania acuta. Mi piacciono gli spoiler. Tento di mettere a frutto la laurea in Lettere. Il mio sex-symbol di riferimento è Alberto Angela.
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