Film

Vi presento Christopher Robin, perché Winnie the Pooh è il male travestito da orso

Cosa mi abbia spinto a vedere Vi presento Christopher Robin, proprio non lo so. Sarà che amo i biopic, sarà che mi piace un sacco il regista, Simon Curtis (Marilyn, Woman in Gold), sarà la curiosità di conoscere quale mente malata abbia potuto concepire un essere così detestabile come Winnie The Pooh.

Perché raga, ve lo dico subito per evitare equivoci: IO ODIO QUEST’ORSETTO, lui e quel caravanserraglio di animaletti fastidiosi che si porta appresso.

Cosa fa il dolce Winnie di utile se non ficcare la zampona nel barattolo del miele e cincischiare con quella voce da adenoidi ingrossate, mentre i suoi amichetti lo guardano ammaliati come gli Ebrei davanti all’idolo d’oro?

In ogni caso, ho trascinato due care amiche al cinema (niente mamma stavolta, anch’io ho una vita sociale) e ci siamo ritrovate in una sala completamente vuota, cosa che ci ha permesso di commentare e imprecare liberamente, quando necessario.

Perché questo pupazzo si rivela, ancora una volta, una sciagura, anche per chi l’ha inventato.

La trama

A. A. Milne/ Domnhall Gleeson (Harry Potter e i Doni della Morte, parte 1 e 2Black MirrorMadre!,  Star Wars – Gli ultimi Jedi, ) è un commediografo di successo ma soffre di stress post-traumatico dopo aver combattuto in trincea durante la Grande Guerra.

Nel tentativo di rilassarsi decide di lasciare Londra per una villa nel Sussex, nonostante il parere contrario della moglie – socialite Daphne/Margot Robbie (The Wolf of Wall Street, Suicide Squad), che di certo preferisce la metropoli ai boschi solitari.

A gioirne è invece il figlioletto, Christopher Robin/ Wil Tilston, che, complice una fuga della madre in città, riesce finalmente a instaurare un rapporto con quel papà così difficile, insieme al quale dà vita al suo Teddy bear rinominandolo Winnie the Pooh, protagonista di un libro che procura all’autore e alla famiglia fama e ricchezza.

Il bambino però inizia a risentire di questa esasperante celebrità e la distanza che di nuovo si va a creare tra lui e il genitore, mentre l’etichetta di “padrone di Winnie the Pooh” si rivela difficile da scollarsi di dosso.

Il mio 2018 è iniziato con la visione di Coco, e ancora ne porto i segni; pensavo quindi che Vi presento Christopher Robin potesse aiutarmi a superare il trauma, se non altro perché tratta della nascita di un libro per bambini.

Vero che il trailer non lasciava presagire nulla di idilliaco ma mi sentivo corazzata dalla mia attitudine per i film angoscianti, ma dai, sono sopravvissuta a Dumbo che intreccia disperatamente la proboscide con quella della mamma, mi sono detta.

Il training autogeno non è servito a niente, visto che ho sofferto e pianto per quasi tutto il film (dura 135 minuti, a voi i calcoli). E anche se le mie comari negano, non ero la sola.

Il primo tempo di Vi presento Christopher Robin si concentra quasi esclusivamente su Milne padre: parole, opere e omissioni scandagliate al millimetro. Ne emerge un uomo problematico, rigido dietro uno schermo di glaciale ironia. Disperatamente innamorato della moglie, frivola e madre poco entusiasta, è all’eterna ricerca della sua approvazione.

Per certi versi un personaggio tragico, incapace, almeno all’inizio, di comunicare con il figlio, che tenta il possibile per scalfire questo muro di indifferenza, e ci riesce grazie a lunghe passeggiate nei boschi in cui entrambi possono liberare la propria immaginazione.

Domhall Gleeson è convincente, anche se poco espressivo, il che può andare bene quando Milne cade in trance ripensando al passato da soldato, un po’ meno quando la parte richiederebbe la scioltezza di un padre allegro. A colpi di sole fa concorrenza a Ken California, piccola nota.

L’eccessiva lunghezza della prima parte fa da contraltare alla rapida condensazione di eventi della seconda, nella quale Christopher “nasce, cresce e corre” a una velocità spasmodica, passando da bimbo con le fossette e i dentini da criceto ad adolescente tormentato nel giro di pochi minuti.

La parte di Christopher adolescente è affidata ad Alex Lawther (The Imitation GameBlack Mirror, The End of The F***ing World), il quale, diafano e bravissimo, è destinato ad interpretare personaggi afflitti da gravi problemi sociali.

Insopportabilmente fatua ed evanescente Margot Robbie, che incarna bene la personalità appunto fatua ed evanescente di Daphne, rispondendo quindi egregiamente all’appello; adorabile il piccolo Tilston, bambino maturato troppo in fretta, affamato d’amore, soddisfatto solo in parte dalla tata, che gli fa da mamma.

Splendida la scenografia, marchio di fabbrica del regista: il bosco la fa da padrone tanto quanto i personaggi, in quanto nucleo principale delle storie di Winnie lo Stronzo.

A volte la campagna appare così perfetta da risultare innaturale, ma la storia parla di un orsetto che prende il the con somari e tigri, l’aggiunta di melassa in fondo non infastidisce. Strizzando l’occhio alle fashion blogger, senza i consigli delle quali non si può uscire di casa, bellissimi i costumi, fluttuanti come chi li indossa. Ora la pianto con questo taglio da critica con le coliche, giuro: al di là dei difetti, è un film che merita la visione, magari con un pacchetto di fazzoletti nelle vicinanze.

Se poi detestate Winnie the Pooh, in Vi presento Christopher Robin troverete la risposta alla domanda: «Ma Milne non aveva davvero un cazzo di meglio da fare?»

Ilaria Pesce

Pontifico dal 1990. La mia idea di sport è una maratona di film o di serie TV: amo il cinema drammatico, i gialli e la Disney. Sono una lettrice onnivora ed insaziabile. Ascolto musica di ogni genere ma soffro di Beatlesmania acuta. Mi piacciono gli spoiler. Tento di mettere a frutto la laurea in Lettere. Il mio sex-symbol di riferimento è Alberto Angela.
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