Film

Viale del tramonto: ad Hollywood si racconta Hollywood

Dato che è un po’ di tempo che non mi siedo alla tastiera ho deciso di ripartire con stile scegliendomi un compito comodo e semplice: una fantastica recensione di Viale del tramonto tutta per voi, manco fossi la tu mamma che ti imbocca facendo l’aeroplanino. Rileggendolo suona malissimo. E quindi eccoci qua cari MacGuffers: cercate di avere pietà di me che sono solo un ragazzetto in cerca di gloria. Ma non disperate, voglio bene a Billy Wilder e lo tratterò coi guanti. Ci vediamo più sotto.

viale del tramonto
– A Franco ma che vole questo? – Ma che ne so, sta sempre qua a rompe li cojoni.

Viale del tramonto è senza dubbio storia del cinema. Lo dicono le 11 nomination agli Oscar (e le 3 statuette vinte), lo dice l’influenza che la pellicola ha svolto sui cineasti a venire (uno su tutti David Lynch), ma soprattutto lo dico io. Modestie a parte, sappiate che da qui in avanti vi inonderò di spoiler che Blastoise levati.

Forse affermare che Viale del tramonto è un film metacinematografico è improprio e riduttivo, un po’ come per 8 e mezzo di Fellini. Non fraintendetemi, non voglio dire che il capolavoro del Nostro non sia metacinema, solo che sento questo termine come se fosse troppo freddo, tecnico e che in un qualche modo tolga un pezzo di anima al film. Un qualche cosa di simile mi accade con Viale del tramonto.

vile del tramonto

Ciò non toglie che la pellicola di Billy Wilder parla e vuole parlare di cinema e anzi, è proprio questo il nocciolo della faccenda. Quello che mi colpisce e che cambia le sorti è il fatto che – di nuovo, come Fellini – Wilder lo faccia raccontando una storia di vita, una parabola decrescente di un’attrice e di una donna allo sbando.

Viale del tramonto dunque si carica di tensioni ulteriori, perché il discorso metacinematografico non risulta meccanico ed autoreferenziale, ma è inserito all’interno di un cuore pulsante. Immagine un po’ macabra, ma avrete inteso ciò che voglio dire.

Wilder si spinge anche un po’ più in là, in quanto non solo vuole parlare di cinema, ma in particolare di Hollywood e di un periodo particolare di Hollywood: la transizione al sonoro. Il tutto però con uno sguardo in retrospettiva. In questo senso il film si regge sull’interpretazione di Gloria Swanson, una fu diva del cinema muto che ora si trova in crisi di identità e in preda alla follia perché non riesce più ad ottenere ruoli in nessun film.

Norma Desmond, il suo personaggio, è come se fosse intrappolata dentro un universo che non le appartiene, che si è evoluto troppo velocemente per darle il tempo di adeguarsi ai cambiamenti. E difatti l’attrice recita tutte le sue parti, anche quelle di normale vita quotidiana, come se stesse recitando in un classico del muto. Anche il suo trucco e il suo aspetto ci riconducono a quell’immaginario.

sunset boulevard
Gloria Swanson nel ruolo di Dracula.

Anche tutto l’universo che sta intorno alla Desmond vive di cinema. Il nostro protagonista è infatti un mediocre sceneggiatore che non riesce a tirare a fine mese e cerca disperatamente di scrivere soggetti che possano accontentare le grandi produzioni.

Ed è qui che Wilder tira la seconda stoccata, perché ci mostra i reali meccanismi che stanno dietro al funzionamento dell’industria cinematografica, che ai tempi era più che mai centralizzata e governata dalle major. Wilder vuole mettere a nudo un sistema spietato che risponde ad un unico imperativo. Indovinate un po’? Il denaro. CAPITALISMO INFAME.

A ciò va aggiunto che il protagonista di Viale del tramonto non è per niente il tipico “eroe” hollywoodiano. Al contrario, lui è il tipico eroe pezzo di merda, di quelli che saltano da una tetta all’altra a seconda di qual è la più ricca da cui attingere: è un personaggio viscido e riprovevole, che si porta appresso un’aria di superiorità mascherando la sua mediocrità e i suoi continui fallimenti. A tratti mi ha ricordato il personaggio di Michel Dupont narrato da Lauzier nel suo Sono un giovane mediocre. Se non lo leggeste, leggevatelo.

viale del tramonto

Anche tutti gli altri personaggi sono scritti per mettere continuamente in luce il declino di un certo modo di fare cinema e il sorgere – o l’affermarsi – di un nuovo modo. Ad esempio il personaggio del maggiordomo della Desmond, in precedenza suo marito e regista, ora rassegnato a starle accanto per mantenere viva la sua illusione di poter ancora recitare in un film. Da notare, tra l’altro, che l’attore che lo interpreta, Erich von Stroheim, era per davvero un ex regista andato in rovina con l’avvento del sonoro. Metacinema che gronda come una pioggia torrenziale in Amazzonia. Vero Bolsonaro?

In questa linea si inserisce anche il personaggio di Cecil B. DeMille, che interpreta se stesso e mostra l’altro lato della medaglia, ovvero quello del grande regista del cinema muto che ha saputo adeguarsi ed evolversi al nuovo sistema. Sarà lui, quasi come una figura paterna, a rassicurare Norma Desmond.

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Con quello sguardo quei bicchieri devono per forza essere avvelenati.

In ultimo, proprio come ciliegina sulla torta che luccica e che quindi ti fa dubitare del fatto che possa essere avvelenata: il noir. O forse dovrei dire il falso noir. Sì, perché con un semplice giochetto temporale Wilder costruisce tutta la struttura del film. La storia infatti inizia con un flashforward che ci anticipa fin dall’inizio che il nostro protagonista morirà ucciso malissimo in una piscina. KARMA BITCH!

Così facendo il regista può costruire lungo tutto il corso della pellicola una suspense di stampo che oserei definire hitchcockiano, in quanto lo spettatore sa più dei personaggi. E c’è anche un altro elemento che Wilder sembra riprendere dal maestro del brivido, ovvero il MacGuffin. Regà lo so che sembra Inception perché parliamo di MacGuffin sul MacGuffin, ma seguitemi.

Sostanzialmente tutto il meccanismo narrativo si snoda a partire da questa fantomatica automobile che il protagonista possiede ma è ricercata dalle forze dell’ordine; alla fine però quest’elemento passa completamente in secondo piano e rimane irrisolto, o comunque viene risolto off-screen e ci viene soltanto comunicato.

viale del tramonto

E dato che Viale del tramonto è così intriso di cinema, era doveroso che la pellicola finisse con la realtà che si mescola alla finzione, con Norma Desmond convinta di essere in un film, che in realtà sta davvero recitando in un film, salvo il fatto che Wilder alla fine congiunge i due piani lasciandoci con una dissolvenza.

Mario Vannoni

Un paesaggio in ombra e una luce calante che getta tenebra su una figura defilata. Un poco inutile descrivere chi o cosa sono io se poi ognuno di voi mi percepirà in modo diverso, non trovate?
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