Film

Videodrome: Cronenberg, gli Anni Ottanta e la televisione

Saranno più o meno cinque anni che tengo sul comodino Infinte Jest di David Foster Wallace: comprato in un momento di eccessiva fiducia nelle mie capacità di resistenza, periodicamente ci riprovo, ma non riesco ad andare oltre le prime cento pagine. Sarà la lunghezza poco incoraggiante, sarà che ogni due righe tre sono di note, sarà il bisogno di ossigeno, fatto sta che arrivare in fondo a quel tomo è uno degli obiettivi dell’anno nuovo che non so se riuscirò mai a raggiungere. Per chi non lo sapesse, la trama, ammesso che di trama si possa parlare, narra, tra le varie cose, di un film che produce dipendenza e stato catatonico nei suoi spettatori, da cui naturalmente scaturisce una riflessione sulla società dello spettacolo, il peso della televisione nel mondo e via dicendo. Perché questa premessa, quando da queste parti dovremmo parlare di film? Perché se anche voi temete di non riuscire ad affrontare una lettura del genere, potete sempre cercare un surrogato e cavarvela in un’ora e mezza buttandovi su Videodrome.

Scritto e diretto nel 1983 da David Cronenberg, Videodrome è una cartolina punk direttamente dagli Anni Ottanta, e di quel periodo incarna tutto lo spirito: soldi, sesso, violenza, spettacolarizzazione, isteria. Max Renn (James Woods) è il proprietario di una piccola rete televisiva privata che ha fatto del suo punto di forza la messa in onda di contenuti un tantino trucidi. Un giorno il suo amico e collega Harlan (Peter Dvorsky) gli annuncia di essere riuscito a captare direttamente dall’estremo Oriente un segnale pirata che trasmette senza sosta immagini delle peggio torture. Queste altro non sono che “Videodrome”, una sorta di programma dedicato al genere che Max vorrebbe acquistare per il suo canale, ma le cose non sono così semplici: il fantomatico ideatore Professor O’Blivion, che compare senza sosta sugli schermi, in realtà è morto da tempo, tanto per dirne una. Nel frattempo talk show, allucinazioni, qualche blanda scena di sadomasochismo, e un misterioso piano per controllare il mondo ed eliminare i soggetti più deboli – è a vostra discrezione decidere se con “deboli” si intendano coloro che certe scene proprio non le reggono, o al contrario quelli che ne sono morbosamente attratti.

Videodrome non è il miglior film di Cronenberg: nulla a che vedere con il claustrofobico Inseparabili, per non parlare di quel capolavoro di poesia e lirismo che è M. Butterfly. Però è perfetto se volete qualcosa che sia lo specchio dei tempi, recenti eppure ormai irrimediabilmente andati – quale trentenne oggi guarda ancora la televisione? Giorni che sembrano notti, con uno schermo come unica fonte di luce; programmi che diventano surrogati della vita vera; e un contorno di sesso, ma soprattutto tanta violenza; entrambi derivati da un’irriducibile noia che sembra avviluppare l’uomo medio. E, per non farsi mancare nulla, qualche tocco horror, che se adesso fa quasi sorridere, all’epoca doveva essere discretamente disturbante.

Videodrome non diventerà il vostro film preferito, non sentirete il bisogno di rivederlo più di una volta, non andrete a comprarvi il dvd per averlo nella vostra cineteca personale; ma di sicuro non vi lascerà indifferenti. E, last but not least, si rivelerà infinitamente più veloce di mille pagine di note a margine.

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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