Film

Vivere: percorso di riscoperta dell’esistenza a cura di Akira Kurosawa

Tanti, troppi adolescenti al giorno d’oggi si lamentano della loro vita. “Che vita di merda”, “fa tutto schifo”, “i miei genitori sono dei rompicoglioni”, “non ho voglia di studiare”, ecc. Facendo parte anch’io di questa categoria di individui lamentosi e problematici non posso affermare di non aver mai pronunciato una delle frasi soprastanti. Tuttavia (faccio l’uomo saggio e vissuto) credo di aver imparato un paio di lezioni dalla vita. La prima me la insegnarono (o quasi) i tamarrissimi Guns N’ Roses: vivi e lascia vivere. La seconda piomba invece dritta a ciel sereno sulla testolina di cazzo di qualsiasi adolescente quando la vita gli sbatte in faccia la dura verità: smetti di lamentarti e rimboccati le maniche, idiota! Ovviamente la maggior parte di noi teens ha bisogno di essere preso a schiaffi più volte prima di capire, ma beh, sbagliando si impara no?!

Sono qua per farvi la morale? Assolutamente no. Sono qua per presentarvi un film del quale, a mio modesto parere, tutti dovrebbero prendere visione almeno una volta nella propria lamentosa vita. Il titolo e l’autore lo avete già letto: Vivere di Akira Kurosawa.

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A cosa serve tutta la pappardella moralista di qui sopra? Se presa a sé stante risulta come niente di più di un commento improvvisato di un adolescente che vuole fare lo spesso. Ma io lo spesso lo faccio lo stesso (giochi di parole ne abbiamo?) e vi dico che non affermo mai nulla a caso. Ora potete liberare il vostro odio nei miei confronti.

Quella sottospecie di riflessione nasce dal forte sentimento che mi ha suscitato Vivere. Un po’ come Ungaretti alla visione del suo compagno di battaglia morto sviluppa un forte senso di attaccamento alla vita, così io sono stato folgorato dalla reinterpretazione della vita che Kurosawa mette in mostra in questo film. Ok, forse sto esagerando, ma adoro le similitudini forti e sfacciate, perché mi permettono di rendere molto più chiaro ciò che voglio esprimere. Ecco, il cineasta giapponese fa quello che cerco di fare io con le parole, facendolo però con le immagini, in modo allegorico, giostrando il tempo e un infinità di volte meglio di me.

Cosa rende ordunque Vivere una delle massime espressioni di Kurosawa e un capolavoro senza tempo?

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TUTTO.

Sì, avete letto bene. Siccome sono un sostenitore dell’inesistenza della perfezione cinematografica, affermo con piena fermezza che questa pellicola rasenta la perfezione, sfiorandola, ballandoci, senza toccarla forse volontariamente e giocandoci un po’ come faceva Sasha Grey coi peni. Ti chiedo immensamente scusa, sommo maestro, prometto che non mi lascerò più corrompere dalla lussuria. 27 Ave Maria per me.

La precisione formale di Kurosawa è assoluta. Egli mette in scena una narrazione di per sé lineare e piatta, trasformandola e ribaltandola con avvenimenti semplici e rendendola l’allegoria di una vita vissuta e non vissuta allo stesso tempo. Allucinante è la capacità di cambiare pelle del film, alternando scene tragicomiche a veri e propri drammi esistenziali, il tutto contornato da una tendenza all’estremizzazione dei contenuti, la quale permette al maestro Kurosawa di mostrare la vera natura dell’uomo che si scontra coi limiti della sua stessa esistenza. Che vi dico a fare che le abilità di ripresa e di montaggio del giapponese sono uniche ed inimitabili? In particolar modo spicca enormemente quella che ritengo la caratteristica maggiormente peculiare del regista: la capacità di sfruttare da cima a fondo le inquadrature. Nelle immagini di Kurosawa nulla è sprecato.

Spettacolari come sempre anche gli attori, senza i quali il film avrebbe dimostrato neanche la metà del suo valore; ancora una volta il compianto Akira sa quello che fa e lo fa dando tutto se stesso e spiegando inoltre a tutti gli altri come farlo.

Kurosawa fa sesso col cinema, ma lo fa in modo elegante. Altre 27 Ave Maria in arrivo…

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Soffermiamoci brevemente su quella che a mio parere è la caratteristica più rivoluzionaria di Vivere: la gestione del tempo. Stiamo entrando in un campo minato, in quanto per spiegare a fondo il meccanismo utilizzato dal regista per giocare col tempo cinematografico dovrei fare spoiler, ma vi GARANTISCO che nulla di ciò accadrà. Nella gestione dei tempi narrativi esistono due tecniche che permettono all’autore di scollarsi dal presente e modificare il tempo della narrazione. Queste tecniche permettono di narrare avvenimenti precedenti o successivi al tempo presente. Nella pratica queste sono costituite rispettivamente dall’analessi e dalla prolessi, meglio conosciute col nome di flashback flashforward. Ma questo lo sappiamo tutti. La peculiarità rivoluzionaria di Vivere nasce invece dal genio di Kurosawa. Egli mescola flashback e flashforward unendoli poi al tempo presente ed ottenendo una narrazione che risulta essere scollegata da qualsiasi quadro temporale. Semplicemente ad un certo punto il regista decide di far trascendere la propria opera da ogni dimensione temporale; ed è questo che rende Vivere un’allegoria cinematografica. Se non vi sono chiari il funzionamento e la portata di tale rivoluzione non ho altre spiegazioni per voi, affrettatevi a vedere il film e capirete di cosa sto parlando. Un’ultima cosa: il film è del 1952.

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Come siamo messi ad orgasmi cinematografici? Kurosawa ne ha da vendere! Ok, a parte gli scherzi: Akira Kurosawa è uno dei registi che più amo in assoluto e che in primis ha cambiato il mio modo di vedere il cinema. È quindi per questo che vi incito a gola spianata a recuperarvi questo capolavoro della storia del cinema nel caso non lo abbiate ancora fatto. E chissà che un giorno, rileggendo il primo paragrafo di questo articolo non vi capiti di dire: “Sono proprio un coglione!”.

Mario Vannoni

Un paesaggio in ombra e una luce calante che getta tenebra su una figura defilata. Un poco inutile descrivere chi o cosa sono io se poi ognuno di voi mi percepirà in modo diverso, non trovate?
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