
Voraci coccodrilli e surrealismo: Quattro corti di Yamamura al RNFF
Koji Yamamura, classe 1964, è uno dei più importanti realizzatori di corti animati indipendenti di tutto il Giappone. Fondatore della Yamamura Animation, Inc., è stato nominato all’Oscar nel 2003, ed è pure premiatissimo illustratore di libri, vicepresidente della Japan Animation Association (JAA) e professore del dipartimento di animazione presso l’Università di Tokyo. Un vero genio, insomma.
Anche quest’anno il Ravenna Nightmare Film Fest ha voluto Yamamura come ospite d’eccezione, presentando quattro titoli significativi della sua sterminata opera che possono costituire un ottimo punto di partenza per approfondirne poetica e sensibilità.
Mount Head (Atamayama, 2002)
Candidato all’Oscar nella sezione “Miglior Cortometraggio Animato”, Atamayama è la simpatica rielaborazione di un’antica storia folkloristica giapponese. Un uomo ossessionato dal riciclaggio decide di mangiare alcuni semi di ciliegia per evitare di buttarli via. Da un giorno all’altro sulla sua testa calva spunta il germoglio di un albero che il protagonista tenterà più volte, senza successo, di tagliare. Nel frattempo, una folla di minuscoli impiegati si raduna ai piedi della pianta e inizia ad accumulare montagne di immondizia, innescando una serie reazioni surreali.
In appena dieci minuti, questo corto presenta un chiaro e mai retorico messaggio ambientalista, venato di polemica la tendenza dell’uomo moderno all’accumulo indiscriminato e nocivo del superfluo, causa di soffocanti sofferenze per l’ecosistema, di cui la testa del protagonista diviene allegoria. Tutto ciò viene filtrato attraverso una saggia amalgama di animazione tradizionale e digitale che accentua l’avvincente stranezza di un racconto accompagnato dalle armoniche dissonanze di uno shamisen, tipico strumento a corda del Sol Levante.
Il vecchio coccodrillo (Toshi wo totta wani, 2005)
Sicuramente il più crudo e inquietante tra i corti di Yamamura citati, ispirato alla tradizione egizia. Si tratta di anime minimale, realizzato con penna e inchiostro, che segue le vicende di un millenario coccodrillo afflitto dai reumatismi e da fame insaziabile. Dopo aver divorato un nipote, verrà cacciato via dagli altri membri della famiglia, e una volta giunto tra le taumaturgiche acque del Mar Rosso, il vecchio coccodrillo approfitterà delle premure di un’ingenua piovra, non prima di averci stretto amicizia.
In uno slancio di puro genio visionario, Koji Yamamura combina uno stile di animazione molto basico a un’implicazione sociale scomodissima e attuale, che punta allo stomaco. Con la favola classica, Il vecchio coccodrillo condivide la trasposizione dei comportamenti umani nel regno animale finalizzata ad impartire una morale. Ma in questa storia non vengono presentati valori positivi, e il regista giapponese sceglie di ricordarci che non sempre l’onestà paga, che non sempre il bene trionfa. Il risultato è una pillola amara, necessaria da ingerire.
Se volete “godervi” e riflettere su questa perla, la trovate al seguente link.
La parata di Satie (Satie’s Parade, 2016)
Vivace e giocoso, La parata di Satie è una fantasia che omaggia il compositore francese Erik Satie sulle note di Parade, eseguita per la prima volta nel 1917 davanti a due mostri sacri come Jean Cocteau e Pablo Picasso, che qui prende vita in un balletto di coloratissime immagini surreali. Ci sono acrobati, buffi cavalli, un ragazzo che si trasforma in una pera e mille altre invenzioni visive più vicine all’immaginario del circo che della parata.
Se si ha già familiarità con l’opera originale, si sa a cosa si va incontro e se ne potrà ammirare una trasposizione assai fedele. Per tutti gli altri è un quarto d’ora di variopinta follia, musica, movimento e un accenno di narrazione proveniente dal vissuto reale di Satie. L’arte dell’animazione si piega alle regole anarchiche di surrealismo e dadaismo, emula il cinema di Charlie Chaplin, e fa un uso suggestivo del sound design e di peculiarità del jazz. Chi cerca i contenuti analizzati nei precedenti corti di Koji Yamamura, o non apprezza le opere anti-narrative, è meglio si tenga alla larga da questo film.
Dreams into Drawing (id. 2019)
Chiude il quartetto di corti un lavoro inedito di Yamamura, finta autobiografia di Kuwagata Keisai, un riverito pittore vissuto nell’Ottocento. Il film coglie l’artista mentre sogna di trasformarsi nei pesci e negli uccelli che ama dipingere, in una rivendicazione del sogno come esperienza condivisa tra uomo ed elementi della natura, andata progressivamente a smarrirsi negli anni dell’industrializzazione giapponese.
Vincitore di numerosi premi (tra cui la palma di “Miglior Cortometraggio Animato” presso il rinomato Sapporo International Short Film Festival & Market), Dreams into Drawing è un’opera zen intensa e malinconica, che attraverso una narrazione scarna e semplice sensibilizza a ritrovare la spiritualità nelle cose semplici, nella simbiosi tra materia e mente.