
Vox Lux: pop, violenza e un discreto pasticcio
Doveva capitare, era solo questione di tempo: il primo film del Festival fischiato sonoramente alla proiezione stampa mattutina. Non ho idea di come sia stato accolto in sala alla prima e io stessa, alla fine di Vox Lux, ero perplessa.
Per più di metà del film ho mantenuto un’opinione decisamente positiva ma ha un finale talmente MEH che il fischio sembra quasi cercato. Brady Corbert VOLEVA farsi fischiare: è l’unica spiegazione che riesco a darmi. Cerchiamo di fare ordine.
Vox Lux: il pop racconta la storia
La giovane Celeste (interpretata, in età adulta, da Natalie Portman) sopravvive a una strage scolastica ispirata al massacro di Columbine. Grazie alla notorietà acquisita intraprende una carriera musicale, diventando una diva del pop.
La storia del suo successo viene raccontata in tre fasi e in parallelo con tre eventi drammatici, a metà tra realtà e fiction: la strage a scuola nel 1999, il crollo delle Torri Gemelle nel 2001, e nel presente l’attacco armato ai bagnanti su una spiaggia croata da parte di anonimi terroristi, che indossano maschere ispirate a un video di Celeste.
Seguiamo la sua carriera e gli scandali personali che vanno a investirla (ispirati agli svarioni di una Britney dei tempi d’oro) a balzelli, attraverso la scansione in tre atti. Non vi spoilero gli esiti nel caso vi andasse di buttar via un paio d’ore ma il regista sembra quasi goderci nel piazzare dall’angolo un finale tronco, inconcludente e non particolarmente ispirato. Va a rovinare un lavoro che altrimenti poteva avere degli elementi di interesse forti, e che cercava di trattare con un taglio originale alcuni aspetti drammatici della società contemporanea.
Cosa funziona
Vox Lux racconta in una metafora efficace la necessità moderna di spettacolarizzare il dramma: il dramma storico in parallelo con il dramma personale della protagonista. Il personaggio di Celeste è interessante e ambiguo: ci sembra una ragazzina ingenua, ma il dubbio che sia una fredda calcolatrice capace di strumentalizzare una tragedia si fa sempre più legittimo, sequenza dopo sequenza.
Funzionano Natalie Portman e Jude Law, nei panni del produttore – una figura vagamente disturbante, a metà tra il padre e l’amante. Funzionano le canzoni di Sia, che con i due attori protagonisti è anche la produttrice esecutiva del film. La sequenza iniziale della strage è davvero molto bella, come la rappresentazione iconografica degli show della popstar.
Cosa non funziona
Santo cielo, tutto il resto. Vox Lux è un’idea originalissima, che però nel mondo delle idee resta.
Infastidisce l’evoluzione sgraziata del personaggio di Celeste, che tra un salto temporale e l’altro lascia lo spettatore con dei buchi di sviluppo non indifferenti. L’intera sequenza finale del concerto, che costruisce un’impalcatura senza nemmeno azzardare il pallido tentativo di piazzarci un tetto. Le pretese altissime che si percepiscono tra le righe: tracciare in tre atti una parabola sul rapporto media – cultura pop – società; ma senza la forza di tirare le fila con un messaggio lucido e coerente.
Parliamo un secondo del casting: l’attrice che interpreta Celeste nel passato è anche riciclata, nel presente, come la figlia di Celeste. La sorella di Celeste invece a distanza di quasi vent’anni ha sempre la stessa faccia. Se c’era un profondo significato recondito in questa scelta bizzarra, regà, alzo le mani. Non l’ho capito. Mi ha solo infastidito potentemente.
Non ho interpretato quei fischi della stampa come un rifiuto totale del progetto, ma come la delusione per una bella occasione mancata. Si poteva raccontare di più, si poteva raccontare meglio. Peccato.