
War Machine – Netflix, Brad Pitt e la guerra in Afghanistan
Premessa veloce, indolore e dovuta: con Netflix ho un vero e proprio rapporto di amore e odio.
Incapace di conquistarmi, decisi di disdire l’abbonamento più di un anno fa, ma sotto Natale sono “passato nuovamente al nemico”. Il motivo? Sulla carta, nel 2017, erano approdati sulla piattaforma titoli come Okja di Bong Joon-ho, il fresco di candidatura agli Oscar Mudbuond e molti altri film interessanti, tutti rigorosamente targati Netflix.
“Non posso farmeli scappare!”, pensai avidamente…
Da osservatore attento e meticoloso, ho sempre tenuto sott’occhio questo War Machine, di David Michod (Animal Kingdom, The Rover); due cose mi incuriosirono particolarmente: l’argomento (la questione afgano-statunitense) e il suo protagonista, un Brad Pitt al limite del ridicolo che fa corsette mattutine con i calzoni alti stile “crucco in vacanza a Rimini”.
Mel Brooks e Lady Gaga
Non voglio soffermarmi sulla trama, quella vi verrà raccontata da un narratore in voice-over durante la prima mezz’ora di film; vi basti sapere che Glen MacMahon (giuro, non è il fratello di Vince) è chiamato da Obama per gestire e preparare le truppe statunitensi a ritirarsi dall’Afghanistan.

Eh no, questo a Glen non sta bene. Lui è il Mourinho della guerra (notare che per tutto il film, non verrà mai chiamato War Machine), un abile oratore e stratega; lui vuole uscirne vincitore e per farlo è disposto a tutto.
Per quasi due ore di film, Michod mette in piedi un documentario dell’assurdo mescolato ad un discreto war movie: personaggi che sembrano usciti da una commedia di Mel Brooks (con le dovute proporzioni, state calmi), come il presidente Karzai di Ben Kingsley; goffi e stupidi al punto giusto da risultare perfettamente realistici (soldati… politici… stupidità… capita?). Rammarico personale, la fugace apparizione di Tilda Swinton, attrice che amo e comparsa per poco meno di 5 minuti. Peccato.
Mattatore dello spettacolo e re della scena però, è lui… Brad Pitt: brizzolato, fulminato, ma anche determinato e spassoso, il lavoro fatto su questo personaggio è davvero ammirevole; digrigna i denti, gesticola e… come corre, DIO MIO COME CORRE! Follemente auto-ironico con la sua immagine da divo perfetto, era da Bastardi senza gloria che non lo vedevo su questi livelli.

Glen, per di più, ha delle inaspettate sfaccettature drammatiche: è l’emblema dei tempi che cambiano, della modernità galoppante che soppianta il vecchio e il superato. Dai DVD ai Blu-Ray, da Bush ad Obama, da Britney Spears a Lady Gaga, la guerra ora non ha più bisogno di eroi e generali valorosi, ma di soldatini disposti alla ritirata.
“E quanno se spara?!”

Dopo essersela cavata abbastanza bene con i tempi della commedia, Michod ricorda di essere un ottimo regista di scene action e nella seconda parte del film scendiamo in campo con un giovane gruppo di soldati statunitensi alle prese con i guerriglieri talebani: qui il film, anche se per (ahimè) troppo poco, alza l’asticella e mette in scena una bella sequenza di conflitto a fuoco, impreziosita da un sorprendente piano sequenza.
War Machine non è però solo invasori, ma anche invasi: in balia degli statunitensi, i civili afghani sono visibilmente stanchi, impotenti ma in loro non traspare nemmeno la sofferenza o il dolore che possano (e dovrebbero) farci dire “Cazzo, quanto sto male per loro…”, o giù di lì. Scusate il francesismo.
Alti e bassi, di nuovo
Se dunque da una parte e in parte War Machine diverte e quando lo fa, lo fa alla grande (…*cof* scena della cena *cof*…), dall’altro graffia molto meno come satira (ritenta Netflix, sarai più fortunato), concentrandosi troppo sulla parabola discendente di Glen, rendendola (troppo) perfetta rispetto a un contorno più anonimo. Non aiuta nemmeno un’eccessiva dilatazione dei tempi, che per lo spettatore casuale, o dovrei dire, il casual Netflix-watcher è sicuramente un punto a sfavore.
Tirando le somme? War Machine è un buon prodotto. Un medio prodotto, dotato di una credibilità non da poco, affidato a un giovane e capace regista; ne esce un film non per tutti per una piattaforma accessibile a tutti.

Destinato al dimenticatoio dell’immensità del catalogo Netflix, la storia di Glen MacMahon è il frutto dei limiti di una produzione già ostacolo ad altri film (vedi il recente The Cloverfield Paradox, mannaggiavvoi!) che ha conquistato però un piccolo spazio nel mio algido cuore.
Fidatevi, fino all’ultimo fotogramma, War Machine saprà stupirvi.