
Warcraft: è questo il futuro che vogliamo per il fantasy?
In fondo è abbastanza semplice: quando vado a vedere una commedia, mi aspetto di ridere; quando vado a vedere un horror, mi aspetto di spaventarmi (per quanto sia possibile a 24 anni), quando vado a vedere un fantasy mi aspetto di esaltarmi. Non mi sembra di chiedere la luna no?
Ecco perché, se durante la visione di Warcraft – L’inizio mi ritrovo con un encefalogramma più piatto di quello di un cadavere, un pochino mi girano le palle.
Ma andiamo con ordine.
Prima di tutto è utile sottolineare che non ho mai giocato ad un solo minutino di World of Warcraft. Di conseguenza sono andato al cinema da neofita puro, senza sapere pressoché una minchia del mondo in cui mi sarei ritrovato. Che secondo me non è necessariamente una brutta condizione per avvicinarsi ad un film di questo tipo, perché consente di schivare tutte le strizzatine d’occhio inserite per i true fans e di concentrarsi unicamente su quello che il film ha da offrire. In questo caso non molto, purtroppo.
Prodotto dalla stessa Blizzard creatrice del famosissimo videogioco, Warcraft – L’inizio nasce indubbiamente con l’obiettivo di diventare la nuova saga fantasy dominante per i prossimi tot anni, ora che la Terra di Mezzo è stata definitivamente archiviata (che tanto Tolkien Jr. i diritti per Il Silmarillion col cazzo che li sgancia). La regia dell’ambizioso progetto viene affidata al giovane Duncan Jones, regista degli ottimi Moon e Source Code e assiduo giocatore di WoW. Uno che con la passione ed il talento è riuscito a farsi strada con le sue mani, nonostante l’ombra del padre fosse un pelo ingombrante, essendo quest’ultimo famoso in tutto il mondo con il nome d’arte di Bowie. Magari lo avete già sentito da qualche parte, soprattutto di recente.
In ogni caso, Duncan Jones alla regia mi suscitava le stesse domande che mi turbano ogni volta che produzioni così mastodontiche scritturano talentuosi registi abituati a scriversi i propri soggetti: riuscirà Jones a far prevalere il suo talento alle pressioni dei piani alti?
Già il fatto che la Universal avesse imposto una durata massima di 120 minuti ad un film del genere doveva far pizzicare il mio quinto senso e mezzo.
Trama in breve: gli orchi, in fuga dal loro mondo morente, utilizzano un portale dimensionale per entrare nel regno di Azeroth, abitato dagli umani. L’orda di orchi, guidata dal malvagio stregone Guld’an, (che ha rubato il look delle creature di The Village) dovrà creare i presupposti per consentire un’invasione di massa. Comprendendo la malvagità del piano di Guld’an, il capoclan Durotan deciderà di mettersi contro la sua stessa specie, in modo da raggiungere un accordo con il re Llane, sovrano di Azeroth, al fine di rovesciare il dominio dello stregone e riportare la pace fra le due razze.
Fin dai primi minuti colpisce l’impressionante livello della performance capture utilizzata per rappresentare gli orchi. Durotan e soci godono di un’espressività e di un realismo davvero notevoli, ma in breve tempo l’abuso della computer grafica diventa quasi insostenibile, almeno per il sottoscritto. Come ho già avuto modo di dire nel finale di questo articolo, la CGI ha ormai letteralmente invaso ogni sfumatura del cinema fantasy, rendendolo sempre più simile ad un videogioco, con la conseguenza che il film potrà anche essere visivamente piacevole e spettacolare, ma è anche quanto di più freddo e piatto ci possa essere.
Perché quando ogni singola ambientazione non è altro che una riproduzione ricreata in digitale, come può lo spettatore a sentirsi catapultato in un mondo fantastico? Il Signore degli Anelli è grandioso ancora oggi proprio perché l’uso degli effetti speciali è stato dosato e limitato da Jackson, in modo che non risultasse preponderante rispetto al resto. Grazie a questo, la Terra di Mezzo è diventata per tutti noi un mondo vero, familiare, e assolutamente credibile nella sua natura fantastica.
Al contrario, il regno computerizzato di Azeroth non è nient’altro che una cartolina modificata con photoshop.
La mancata empatia con l’ambientazione è dovuta sicuramente anche al minutaggio ridotto del film. Troppo poche due ore per rappresentare un mondo così complesso ed articolato come quello di Warcraft. Lo spettatore viene infatti rimbalzato da un lato all’altro del regno di Azeroth senza precise soluzioni di continuità, il tutto in un delirio di nomi e riferimenti che sembrano più un tentativo di ostentazione che una reale volontà di coinvolgere lo spettatore nella storia. Che Duncan Jones abbia fatto i compiti a casa è evidente, ma questo non basta.
Non so come la possa pensare un fan di WoW, ma da spettatore neofita ho avuto la sensazione di assistere ad un apatico sciorinamento di nomi, cose e città (p.s. ma che bello che era quel giochino a scuola). Insomma, se il film voleva catapultarmi nel regno di Azeroth, temo sia riuscito solo a catapultare i miei maroni contro un muro.
Poi oh, capiamoci: se tutto questo abbuffo di CGI fosse al servizio di una storia e di un cast di personaggi con i controcazzi allora me ne starei senza problemi. Peccato che non sia questo il caso.
Perché se dal lato orchi tutto funziona più o meno come dovrebbe, grazie anche ad un protagonista efficace e carismatico come Durotan, sul lato umani non si può far altro che piangere. I personaggi, scritti senza voglia e senza fantasia, hanno più o meno tutti la profondità di un cucchiaino da caffè. Non c’è un dialogo che sia uno che rimanga impresso al termine della visione.
Lothar, il protagonista umano e amico intimo del re (interpretato da Travis Fimmel, famoso per il ruolo di Ragnar in Vikings), è il solito protagonista che gigioneggia e fa il cazzone per la maggior parte del tempo, senza motivi apparenti (ma perché deve continuamente punzecchiare Khadgar, che tra l’altro è l’unico che pare capirci qualcosa lì in mezzo? Solo per costruire siparietti ironici sul nulla?) suscitando più fastidio che simpatia e ammazzando l’epicità della situazione ogni volta che apre bocca. E figuriamoci che fra tutti è quello più a suo agio con il personaggio.
Dominic Cooper nei panni del re Llane ha il carisma di un impiegato delle poste, mentre Ben Foster, chiamato ad interpretare Il Guardiano, l’ho trovato semplicemente fuori ruolo. Che mi dispiace anche, perché il buon Ben ha già dimostrato di avere il talento per divorarsi la scena, ma l’ho trovato proprio a disagio nei panni di Medivh. Ah e poi c’è quello che fa Khadgar, il ragazzetto fastidioso, che ha molto semplicemente una faccia da cazzo.
Il film procede stancamente senza sussulti e senza trasporto, accompagnato da una fastidiosa ironia e dalla solita censura che impedisce ad esempio di mostrare come si deve una spada che trapassa un corpo. Eh già, ormai il cinema fantasy è ridotto a questo, ma d’altronde già con Lo Hobbit ci avevamo fatto tristemente il callo. La regia di Jones è comunque di livello e fa quel che deve, ma il problema è la totale mancanza di pathos che accompagna la vicenda. Ah, ovviamente le musiche non sono pervenute.
Solo una scena mi ha svegliato dal torpore, complice anche una coraggiosa scelta narrativa che francamente non mi aspettavo e che mi ha sorpreso positivamente. Tranquilli che non la spoilero, capirete a cosa mi riferisco quando la vedrete.
L’apice del disinteresse viene poi raggiunto nella battaglia finale, assolutamente piatta ed inverosimile nel suo svolgimento. Più che altro perché gli orchi si rivelano di un’idiozia che fa spavento. Ci credo che hanno mandato a puttane il loro mondo.
Al termine della visione, non posso far altro che pormi una domanda: è questo il futuro che vogliamo per il fantasy? Siamo davvero destinati a doverci accontentare di prodotti di puro, mediocre intrattenimento, girati senz’anima e senza approfondimento, totalmente incapaci di suscitare la benché minima emozione? Davvero è questo il prezzo che saremo costretti a pagare sull’altare del progresso tecnologico e del botteghino?
Warcraft non è un film che merita di essere smontato dalla testa ai piedi, ma è un’opera che, a seconda del suo successo, potrebbe diventare uno spartiacque del genere fantasy. E promuoverlo vorrebbe dire accogliere a braccia aperte una deriva del genere che temo non digerirò mai del tutto.
E non so voi, ma io rivoglio indietro un altro tipo di cinema fantastico. Quello che si concentrava sulla storia e sui contenuti, fregandosene di quanto potesse essere colorata o luminosa la sua copertina. Quello dominato da pupazzi giganti palesemente finti ma che riuscivano a toccarti l’anima. Quello che ti raccontava storie che desideravi non finissero mai.
Non ci resta quindi che aspettare il giudizio del box-office, visto che la critica non ha accolto benissimo il film di Jones. Solo il Dio denaro deciderà infatti se Warcraft sarà degno di una prole lunga e scintillante, o se verrà relegato nel cassetto del dimenticatoio. In questo caso, francamente, temo che non ne sentirei la mancanza.
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