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When They See Us – necessaria da guardare, dura da digerire.

Perché necessaria?

Nell’istante esatto in cui mi decido a scrivere di When They See Us, prodotto Netflix uscito a giugno del 2019, mi inerpico in un sentiero pericoloso e zeppo di buche. Perché, dunque, scriverne? In fondo, al momento, siamo ad aprile 2020 ed è chiaro come la mini serie di 4 episodi non sia certo fresca a sufficienza per renderla un argomento caldo, né abbastanza datata perché si possa rispolverare.

La prima ragione, tuttavia, che oggi rende una serie come When They See Us  necessaria da guardare e discutere risiede nel fatto che, forse mai come ora, in questo assurdo momento storico, possiamo riuscire a essere empatici con la vicenda mostrata. La seconda e più importante ragione è che quella che viene trattata è una di quelle storie vere di cui è sempre bene parlare.

When They See Us racconta, infatti, il celebre caso dei Central Park Five, uno dei più clamorosi episodi di giustizia sommaria della storia degli Stati Uniti e del mondo occidentale.

Aggiungo che se il prodotto finale è così diretto e viscerale da ridurti a passare le serate sul divano a biascicare insulti verso le forze dell’ordine e il sistema di giustizia, in un sincero, quanto inappropriato e infantile, rigurgito ACAB, possiamo definitivamente dire che la cosa merita due righe.

Il caso della jogger.

La vicenda, da brividi, è datata 19 aprile 1989, quando a New York decine di ragazzi di Harlem, alcuni radunati tramite passaparola nelle scuole, altri semplicemente trascinati dall’entusiasmo, si riversano a Central Park, in subbuglio per l’inizio del break di primavera. Per chi non lo sapesse, Harlem è universalmente conosciuto come il centro culturale dell’anima ispanico/afroamericana di Manhattan e si snoda a nord del parco. Quella sera molti giocano a basket, molti gridano e corrono; altri arrivano a disturbare o ad aggredire i passanti in una sorta di isteria collettiva.

La polizia ferma diversi giovani, ma nel frattempo trova tra gli alberi una jogger ventottene, Trisha Meili. La ragazza è stata picchiata brutalmente e stuprata; sembra in fin di vita quando viene trasportata in ospedale e rimarrà 12 giorni in coma.

La vicenda è scabrosa e naturalmente i fermati vengono interrogati. Tra questi ci sono Antron McCray, 15 anni, Kevin Richardson, 14 e Raymond Santana, 14. Un altro dei ragazzi afferma di essere venuto a Central Park insieme a un certo Yusef Salaam, 15 anni. La polizia va a cercarlo e lo trova ad Harlem insieme all’amico Korey Wise, di un anno più grande, già maggiorenne. Quest’ultimo decide di seguire l’amico per stargli affianco.

In città la rabbia della gente è altissima per una serie di reati molto simili ai danni di giovani donne. Il sindaco ha da poco istituito una sezione specifica della procura distrettuale sui crimini a sfondo sessuale. La ragazza si risveglia ma non ricorda, e mai ricorderà, nulla dell’accaduto. La situazione è rovente e la ricerca di un colpevole pare l’unica cosa che conta.

Giustizia USA.

Questa è l’atmosfera che si profila con l’inizio di When They See Us, un lunghissimo sguardo sopra un percorso angosciante. Quattro puntate per quattro fasi di un lutto umano e sociale, perpetrato da un mix di istituzioni in formato caccia alle streghe, forze dell’ordine negligenti e violente e da un’opinione pubblica a base WASP fondamentalmente razzista. Quest’ultima fomentata tra l’altro dall’attuale presidente degli Stati Uniti, che invece di studiare la fisica dei tornado o comprare partite di disinfettante, si prodigò allora di acquistare 85.000 $ di pagine di giornale per promuovere il ritorno della pena di morte.

I ragazzi, interrogati per ore, senza cibo né acqua, vengono convinti di essere stati accusati dagli altri 4 e gli viene promesso di essere mandati a casa se daranno dettagli dello stupro. Lasciati senza tutori, confusi e addirittura picchiati, rilasciano una confessione strappata con la forza che, nonostante la totale assenza di prove, li condannerà. Se volete stimolare la vostra rabbia potete direttamente guardare gli interrogatori originali, disponibili su YouTube. La prima puntata, che si snoda come un report di cronaca, si conclude così.

 

Tempo della storia e tempo del racconto.

In questi casi, quando la storia è così forte e la trama si scrive già benissimo da sola, la magia di un buon prodotto dev’essere quella di ribaltarti le aspettative, di portare il tuo focus in una situazione in cui tu non sei più solo lo spettatore di una vicenda realmente accaduta, ma ci sei dentro. Questo piccolo capolavoro della regista Ava DuVernay lo fa sgretolando alcune regole della serialità moderna.

Quello che ci si aspetta dopo il primo episodio, che dura 64 minuti, è che le successive tre puntate sciorinino le varie fasi del processo, alternandolo al dramma umano e personale. Famiglie senza soldi inseguite dalle parcelle degli avvocati, madri disperate, picchi di speranza e voragini di disperazione che condiscono un buon vecchio sano courtroom drama statunitense.

Con When They See Us la DuVernay invece ribalta una vecchia regola teatrale, secondo cui i tre atti canonici di uno spettacolo devono avere una durata discendente. Uno stratagemma che dà allo spettatore l’idea che la vicenda stia accelerando. In tempi di Binge Watching, in cui lo spettatore medio quasi sceglie un prodotto piuttosto che un altro a seconda del lasso di vuoto che vuole riempire, sia esso il tempo di cottura della pizza o quello della lavatrice, scandire severamente  il tempo di una serie appare ancora più necessario.

La Duvernay, invece, dopo una prima puntata di durata tutto sommato a portata di precena, aumenta progressivamente il tempo degli “atti”: 71, 73, 88.

La seconda puntata è dedicata al processo, rapido, ingiusto, senz’appello. Il tempo di un’asciugatrice. I primi due episodi ci hanno trasportati in una centrifuga (appunto) di eventi e di ingiustizie.

Un viaggio nel dolore e nella solitudine.

Abbiamo odiato le forze dell’ordine, per i loro abusi, per i loro pregiudizi e per il loro “poliziotto buono e poliziotto cattivo”. Ci siamo poi incazzati con la giustizia, con gli avvocati, con i super processi, con le arringhe, con la giuria che sospira quando entra la ragazza stuprata e che si indigna rumorosamente quando l’accusa trova il giusto pertugio nella difesa. Abbiamo visto padri incapaci di reagire e madri che si disperano. Poi basta.

Poi è solo la lenta realtà della vita di 5 ragazzini con sogni che si sgretolano; 5 giovani che volevano la fidanzatina, giocare nell’NBA, suonare la tromba e fare i cretini al parco. Il tempo del “delitto”, dell’interrogatorio e del processo è stato rapido, quello che avviene dopo è il vero dolore. Allo spettatore costa un ritmo più lento da seguire, un lasso di tempo più lungo da utilizzare. Si tratta di 22 minuti in più di tempo della narrazione, per dare l’idea di 13 anni.

 

Impossibile, soprattutto ora, rimanere indifferente alle successive puntate. I 5 giovani attori, insieme al cast secondario, portano egregiamente in scena 5 famiglie, tutte diverse, spezzate in maniera differente, sia tramite immagini vere e crude di fatti realmente accaduti, sia attraverso dialoghi e immagini simboliche potenti e gestite alla grande, alternando egregiamente cronaca e dramma umano.

Ava DuVernay è abilissima a condurre, nel tempo a sua disposizione, la vicenda di tutte e 5 le famiglie che, accumunate da un lato da una tragicità comune, viaggiano su binari che si allontanano, si intrecciano e si allontanano di nuovo, sia durante il carcere, che dopo.  Korey Wise, interpretato da un incredibile Jharrel Jerome, colpevole solo di aver seguito l’amico per sostenerlo e condannato come adulto, diventa portatore del dolore e dell’ingiustizia più bruciante.

Necessaria.

Il razzismo, il sistema di giustizia e quello carcerario, la riabilitazione degli ex prigionieri e lo stigma sociale che subiscono. Sono questi i temi che affiorano con grande sensibilità e senza alcuna retorica in When They See Us. 

Recuperare questa serie diventa così necessario in questo momento, per ricordarci quale può essere la portata della vera gabbia che può venirci costruita attorno, che sia di sbarre vere oppure no.

Riccardo Cavagnaro

Vede la luce nell'anno 1991. Da quando ha visto "Jurassic Park" all'età di 3 anni sogna segretamente di toccare un dinosauro vivo. Appassionato lettore, viaggiatore, ascoltatore di musica e bevitore. Tutte queste attività arricchiscono sicuramente il suo bagaglio culturale, ma assottigliano pericolosamente il suo portafogli.
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