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Will & Grace, dieci anni dopo: Vote, Honey!

Era il 2006 quando negli Stati Uniti andava in onda il centonovantaquattresimo e ultimo episodio di una sit-com nata otto anni prima e che avrebbe fatto incetta di Emmy: i fan hanno versato una lacrimuccia, rassegnandosi a salutare per sempre Will & Grace. E Karen e Jack, naturalmente. Ma si sa, la storia è fatta di corsi e ricorsi, e negli Anni Dieci del nuovo millennio vanno di moda le rimpatriate: ecco allora i nostri riuniti ancora una volta in un appartamento del 394 West 88th Street, New York City.

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Per coloro che non sanno di cosa si stia parlando, e che come scusa possono accampare solo un’inaspettata vacanza a Guantanamo, Will & Grace narra le vicende tragicomiche di Will (Eric McCormack), avvocato avvenente e gay, e della sua amica nonché coinquilina Grace (Debra Messing), divertente e problematica arredatrice di interni – eterosessuale, lei. Li accompagnano nelle loro avventure Jack (Sean Hayes), anche lui gay – ma più del tipo da gay pride, viziato e sempre alla ricerca di un lavoro, e soprattutto Karen (Megan Mullally), ricca, lievemente alcolizzata e sessualmente parecchio aperta.

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Tutto sembrava definitivamente concluso nel 2006; tutto, finché non è arrivato The Donald a scompaginare gli equilibri elettorali. E con le elezioni presidenziali incombenti, una candidata democratica tanto preparata quanto insopportabile da un lato e un repubblicano piuttosto psicopatico ma inspiegabilmente affascinante dall’altro, attori e creatori si sono sentiti in dovere di dire la loro.

E pure piuttosto chiaramente: i dieci minuti di reunion si aprono con Will e Grace che sconsolati si dicono “this sucks”, fa schifo. È il divorzio dei Brangelina ad affliggerli? O la trasposizione di Cinquanta Sfumature di Grigio? Macché, quello che li turba è il rischio che Donald Trump possa diventare il nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America. Una tragedia, senza dubbio.

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Non per Karen però, che fa un’apparizione a dir poco trionfale: capelli ancora più rossi di Grace, visibilmente dimagrita e fasciata in uno dei suoi minuscoli tailleur, è sgargiante. E d’altronde lo sareste anche voi, se foste di ritorno da una vacanza con i vostri amici Donald e Melania “e i loro camerieri color mogano”. Will e Grace tentano invano di farle cambiare idea: Trump sarà anche un folle, ma vuoi mettere la soddisfazione di poter costruire un muro nel giardino di casa per non far scappare la domestica?

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Eppoi c’è Jack, il tipico elettore indeciso e disinformato su cui potrebbe far presa la campagna urlata del parrucchino di Trump: che mi frega di votare, se non so neppure in quale Stato devo farlo? Per fortuna che c’è Katy Perry a indicare la retta via.

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Will & Grace è esattamente come lo avevamo lasciato: irriverente, spigliato, estremamente newyorkese. Da un lato abbiamo Will e Grace, esponenti di quella upper-middle class che Tom Wolfe aveva descritto così bene in Radical Chic: colti ma non troppo – ma il Messico e El Salvador non erano la stessa cosa? -, imbevuti di cultura pop, e con la profonda convinzione di star votando per la parte giusta. Dall’altro Jack, americano di provincia emigrato nella grande città, modello dell’elettore medio della Pennsylvania: bianco, impoverito e non troppo istruito, disinteressato alla politica – è a lui e a tutti i potenziali astenuti che si rivolge il “Vote, Honey!” in chiusura dell’episodio -, ma disgustato dall’establishment che la Clinton incarna così bene. E infine Karen, la regina indiscussa dello show: frivola, egoista, favorevole alla diffusione delle armi, all’evasione fiscale e all’innalzamento di muri. Un quartetto esplosivo, che rappresenta con ironia ed efficacia la società americana.

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Se Will e Grace risultano un filino saccenti e Jack un adorabile idiota, è Karen a rubare la scena a tutti con le sue balzane trovate: idea ottima sulla carta, ma che potrebbe risultare un boomerang nel concreto. Riflettete: ritrarreste mai l’americano medio come acuto? Nah. Onore al merito di aver inventato il barbecue, per carità, però non è che brillino per sagacia. E se una repubblicana xenofoba e guerrafondaia è di gran lunga il personaggio più riuscito, le probabilità che gli americani la prendano alla lettera e votino per l’elefantino, beh, crescono.

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Ma non è ancora giunto il momento di preoccuparsi: l’inverno è lontano, e tutto sommato anche gli Stati Uniti, quindi gustiamoci questi dieci, mirabolanti minuti dalle sponde del vecchio continente.

E comunque vote, honey. Please.

Francesca Berneri

Classe 1990, internazionalista di professione e giornalista per passione, si laurea nel 2014 saltellando tra Pavia, Pechino e Bordeaux, dove impara ad affrontare ombre e nebbia, temperature tropicali e acquazzoni improvvisi. Ama l'arte, i viaggi, la letteratura, l'arte e guess what?, il cinema; si diletta di fotografia, e per dirla con Steve McCurry vorrebbe riuscire ad essere "part of the conversation".
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