
Wolf Children: i sentieri per crescere di Ame e Yuki
Sembra Studio Ghibli ma non è, e anzi, è certamente qualcosa di più modesto dei film d’animazione di Miyazaki. Eppure Wolf Children di Mamoru Hosoda (con l’aggiunta italiana, un po’ ridondante, del sottotitolo Ame e Yuki i bambini lupo) è lo stesso una storia bellissima.
Perché parlarvi di questo film d’animazione, Wolf Children, che probabilmente conosceremo in quattro o cinque? Proprio per questo: perché invece dovrebbero vederlo tutti. Un film del genere è forse l’ennesimo sul Diventare Grandi E Come Funziona, ma vale quindici classici Disney di fila. Parola di una che si è vista l’opera omnia dalla nascita all’altroieri, e ha come cavallo di battaglia di recitazione il pregevole pezzo “Che magnifica campagna, Guendalina, così simile alla nostra cara Inghilterra” (sì, faccio le voci di entrambe le òuche).
Poi, in un momento storico chiamato piena crisi da quarto di secolo, Wolf Children è una mano santa. Provare per credere.
I BAMBINI-LUPO
Hana, una ragazza come tante, si innamora di un uomo-lupo, l’ultimo della sua specie. Sembra un romantico antefatto buono per un altro film Disney, ma dopo pochi minuti si scopre che non è così. Lui muore, e lei si ritrova a crescere da sola i loro due bambini, Ame e Yuki.
Ame e Yuki sono una contaminazione: lupo e umano insieme, possono trasformarsi dall’uno all’altro e viceversa, sempre meno inconsapevolmente man mano che il tempo passa. Il loro corpo è un teatro, dove si svolge un incontro tra infanzia e natura ancor più stretto di quello di Mowgli, di Romolo e Remo, e di tutti quei bambini leggendari allevati dai lupi.
Ma non c’è società che ammette vie di mezzo, e arriverà, inesorabile, il momento in cui ciascuno dovrà decidere chi – o cosa – sarà.
È stupendo il modo in cui i fratelli sono disegnati: Wolf Children è una storia lunga, copre un arco temporale che va da prima della nascita dei due bambini alla loro maturità, e la crescita è visibile a ogni fotogramma, così come il cambiamento. Ame e Yuki divengono sempre un po’ più grandi e sempre un po’ più simili a sé stessi. Bello, qui, il fatto che nove spettatori su dieci penseranno di aver capito subito chi diventerà chi: e invece no.
Ame e Yuki sono anche un esempio, portato all’estremo, della natura di ogni bambino (e di ogni bambino che è cresciuto): la ribellione e il “comportarsi bene”, la libertà e l’adattamento. In pochissime parole: il processo di formazione.
COME SI DIVENTA GRANDI?
Questa è una domanda che dà giusto un po’ di vertigine, lo so. Per provare a rispondere, Wolf Children ci offre una metafora che un po’ ci rassicura, perché la conosciamo bene fin dai tempi delle fiabe della buonanotte, e che in un certo senso ci accompagna dentro sé stessa: una strada con un bivio. Davanti alla casa di Hana c’è un vialetto che si divide in due: da una parte si va in città, dall’altra in montagna.
In città c’è la scuola, e a scuola come in nessun altro posto si imparano le nozioni, ma anche le mode, i meccanismi di condizionamento, i gusti e i disgusti. È significativa la sequenza in cui la scalmanata Yuki, per integrarsi nella sua classe, mostra alle compagne i suoi gusti un po’ schifosi, espressi ben bene da una scatola piena di ossicini e carcasse puzzolenti di piccoli animali.
In montagna c’è la natura più vergine e più salvifica, c’è un mondo spirituale inquietante e quasi non umano (vi dice niente l’espressione “un tempo da lupi”?), che è difficile da comprendere per chi non lo abita. Ma anche lì si impara: Ame fa un percorso di apprendimento parallelo e contrapposto a quello della sorella, ma anche lui ha un maestro, una strada, una formazione, delle regole. Wolf Children dà un messaggio molto chiaro in questo senso: la vita non è “o si va a scuola o si gioca”, quanto piuttosto è trovare un punto d’arrivo chiamato “diventare grandi”, consapevoli che la strada che conduce lì non è una sola.
In ogni caso, le scelte sono radicali sia per Ame che per Yuki, e drammatiche. Crescere, mai come in questo caso, significa rinunciare per sempre a qualcosa in virtù di qualcos’altro.
DA DE AMICIS E COLLODI A WOLF CHILDREN
Chiunque ami i romanzi di formazione, o abbia avuto dei bravi insegnanti di italiano, li conosce bene: il libro Cuore di Edmondo de Amicis e Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi. Le “due vie” che Ame e Yuki scelgono in Wolf Children altro non sono che due diverse idee di crescita, esplorate dai due scrittori anni e anni prima.
Yuki vive in un mondo come quello dei ragazzi di Cuore: un mondo in cui si cresce dentro la classe, si matura attraverso l’educazione, si diventa una persona adulta imparando. Un mondo in cui i maestri, così come i genitori, sono figure guida, senza le quali non c’è nessuna formazione.
Ame, invece, sembra Pinocchio: allontanarsi dalle regole “civili” significa crescere fuori, crescere per iniziazione, per esperienza, per acquisizione. Si diventa grandi attraverso il corpo, in movimento e in uso in tutte le sue funzioni. Se ne scoprono i limiti, di questo corpo: la stanchezza, la fame, la sete, il sonno, e anche le emozioni e i sentimenti, dalla paura alla meraviglia, dalla disperazione allo spavento, tutto ciò che riguarda la sopravvivenza nel mondo esterno.
HANA, LA MAMMA
La storia di Wolf Children non sarebbe stata possibile senza il personaggio chiave di Hana, una mamma fondamentale, commovente, meravigliosa. Una specie di Madonna terrena, che dà al mondo dei figli non (del tutto) suoi, consapevole fin troppo bene che un giorno la lasceranno per andare incontro a una missione solo loro. Una mamma che lotta ogni minuto con il senso di inadeguatezza verso il suo compito di genitore, che pensa di non aver fatto abbastanza per i suoi figli, ma che invece li ha cresciuti benissimo.
Una mamma che tutti vorremmo avere e che, forse, anche se non ci abbiamo mai riflettuto bene, abbiamo.
Se essere genitore significa osservare, sorvegliare, incoraggiare, ammonire, tutto il mondo può esserci genitore.
Se crescere significa sentirsi parte di una società e parte del cosmo, conoscere se stessi e conoscere gli altri, tutto il mondo può esserci scuola.
Guardate Wolf Children con i vostri genitori, con i vostri figli, ma soprattutto con voi stessi. E – fidatevi di una piagnona – con una bella scatola di kleenex.