
X-Men: Dark Phoenix – È peggio un film brutto o un film inutile? [No Spoiler]
Ora vi spiego com’è andata. Che magari è successo anche a voi. L’hype per X-Men: Dark Phoenix era praticamente nullo. Un film fuori tempo massimo – che già Apocalypse lo era, ma più per il risultato che per l’idea – dicevamo, un film di cui non si sentiva il bisogno, che dal trailer sembrava pericolosamente simile a Conflitto finale (già poco riuscito di suo). Io sono stato alla larga da qualsiasi voto e recensione, ma si captavano tragedie del calibro di Venom nell’aria. Perciò mi sono seduto così in sala: aspettandomi un altro Fantastic 4 (dopotutto, lo sceneggiatore era lo stesso), pronto a ridere del trash, a incazzarmi per i buchi di trama, insomma, ero pronto a Hellboy. E più il film andava avanti, più aspettavo il momento di rottura. Poi X-Men: Dark Phoenix è finito, e nemmeno una tragedia è venuta a bussare alla mia cornea. Ma neppure un sussulto. Insomma, al campanello non c’era nessuno.
Questo è X-Men: Dark Phoenix: un film superfluo. Inizia bene, paradossalmente, con l’unica scena ben congegnata di tutto il cinecomic. Poi, sparuti sobbalzi, ricalcati da altri film del genere, cliché visti e rivisti, e già ampiamente annunciati dal trailer (che, per chi è un minimo smaliziato, si gioca l’unico colpo di scena). E la mente va per forza a Conflitto finale, da cui alcune scene e svolte di trama sono praticamente riciclate, solo con i protagonisti più giovani. Il problema del film è proprio che… non ha un grosso problema. Non si prende neanche il rischio di essere terrificante. Gioca dentro schemi già conosciuti, tentando il dramma, ma sbagliando i momenti di tensione, perché non raggiungono mai un vero e proprio apice. E, se lo fanno, è in maniera scontata, perché si aggrappano a nostre conoscenze pregresse sul mondo degli X-Men (e, soprattutto, sui tre precedenti film della saga), senza le quali, probabilmente, avremmo davvero avuto un altro Fantastic 4.
Simon Kinberg, regista e sceneggiatore, dimostra di saper giocare bene con le action figure già aperte e un po’ consumate, perché nel momento in cui deve spacchettarne fuori nuove, per aggiungerle al gruppo, fallisce miseramente. L’elemento peggiore di X-Men: Dark Phoenix è proprio Jessica Chastain: un personaggio fastidiosamente impalpabile, che peggiora la storia, togliendo invece di aggiungere, e, forse il crimine peggiore, che riesce a far sembrare la Chastain un’attrice da Days of our lives. Tutta la sua trama (a un certo punto quasi sottotrama) è al limite dell’inutilità, nell’economia di un film che, viste le premesse, avrebbe dovuto concentrarsi solo sulla Fenice Nera, sul cambiamento interiore di Jean, sullo scontro vero e drammatico con tutto il resto del gruppo.
Perché, a conti fatti, Conflitto finale era riuscito, pur con tutti i suoi difetti, a consegnarci una Fenice Nera più profonda e credibile rispetto a quella di X-Men: Dark Phoenix. E non per colpa di Sophie Turner, che funziona come dovrebbe, ma per una sceneggiatura claudicante che non riesce mai a mettere davvero in luce la frattura che la Forza Fenice porta dentro Jean, e che potrebbe davvero devastare la vita in un soffio infuocato. Viene detto, ma mai veramente mostrato. Show, don’t tell, giusto? Eppure si procede in una parte centrale che trascina i piedi, dove tutto e dilatato e nulla ti fa mai saltare dalla sedia, dove vengono ripresi gli stessi schemi di tradimenti e alleanze già masticati e digeriti (a volte male) nei precedenti film.
È questo il punto: tutti fanno cose già viste. Come se ogni personaggio avesse già detto tutto quello che doveva, e X-Men: Dark Phoenix glielo fa ripetere ancora una volta, pur sapendo benissimo quale sarà il risultato. Persino le reazioni ai singoli eventi sono già scritte sul volto dei protagonisti, che vanno avanti per inerzia, come se anche loro si rendessero conto di rivivere la stessa avventura, né agitata né mescolata, ma presentata allo spettatore con un cappellino nuovo. Peccato che il pubblico, in questo caso, ha smesso di essere Waylon Smithers. Nessuna corsa per la nuova Malibu Stacy, perché, mai come in questo film, è sempre uguale alla precedente.
Nemmeno il finale salva X-Men: Dark Phoenix. Il punto con meno pathos, dove non ci si aspetta neanche più un colpo di reni. L’avversario è già a terra, e l’arbitro ha finito di contare. Simon Kinberg ha pure tentato di scopiazzare la scena finale di Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno. Simon, anche no, grazie, come se avessimo accettato. Quindi basta, ricordiamoci gli X-Men al cinema per i primi due film di entrambe le saghe (e per quel gioiellino di Logan, ovviamente), e il resto consegniamolo senza remore all’oblio, sperando che mamma Marvel faccia il resto. E, tornando alla domanda del titolo, penso che a conti fatti sia molto meglio vedere un film brutto di un film inutile. Almeno quello brutto, anche a distanza di anni, te lo ricordi.