Film

Yakuza Apocalypse: Vampiri mafiosi, rane combattenti e altre follie

 

Strana storia quella della produzione di Yakuza Apocalypse: pare che quel pezzo da novanta di Tom Hardy avesse firmato un contratto per impersonare il protagonista di un film diretto dal mitico Takashi Miike, e che si fosse prossimi addirittura all’avvio del progetto. Per ragioni ancora oggi avvolte nel mistero, la lavorazione è naufragata, confluendo nel film di cui ora andremo a parlare.

A chi non conoscesse Takashi Miike e l’influenza avuta da questo folle e prolifico genio (ha girato oltre cento film!) sull’industria cinematografica del Sol Levante, basti sapere che con lungometraggi del calibro di Audition e Ichi the Killer ha gettato le basi per un nuovo modo di intendere l’horror giapponese, portando per altro a scappare dalla sala decine di spettatori. Miike è un autore impulsivo, visceralmente visionario, con una precisa idea di cinema come forma d’arte espressiva che per prima cosa è esperienza visuale. Questo, tra le altre cose, legittima sia il ricorso alla violenza estrema per descrivere le brutture della società nipponica, che la parentela stretta del suo stile registico con l’estetica dei videoclip e dei manga.

Yakuza Apocalypse è la novantasettesima opera del regista, e come tutte le sue precedenti è un atto provocatorio che esige una forte sospensione dell’incredulità destinata a essere messa alla prova per tutte le due ore durata, fino all’esplosivo finale, che a chi mastica un po’ il cinema di Miike ha sicuramente ricordato quello epico, alla Dragon Ball, di Dead or Alive.

Dire che la trama è un canovaccio, sarebbe farle un complimento, semplicemente perché non esiste. Il tutto ha al suo centro il tema della vendetta ampiamente trattato dal regista: il boss della yakuza Genyo Kamiura amministra il suo impero con rigore etico, ma quando un gruppo di misteriosi assassini ne rivelerà la natura di vampiro, il sangue scorrerà nelle strade. In questo pullulare di discordie, il giovane Akira tenta in tutti i modi di entrare nel clan di Kamiura per divenire a sua volta un temuto yakuza.

Se non siete disposti ad accettare che un cerotto sull’ombelico di una rana umanoide esperta di arti marziali sia legato alla salvezza del mondo, allora Yakuza Apocalypse non è il film adatto al vostro palato. Le assurdità presenti in ogni singolo frame del film si accumulano al punto da fuoriuscire dallo schermo, perché Miike è un registra strabordante e anarchico, che abbatte le convenzioni di ogni forma di cinema d’autore e d’intrattenimento in nome di una forma di caos artistico che, c’è da ammetterlo, affascina non poco.

Miike alterna la frenesia delle scene d’azione a una lentezza di ritmo ai limiti del momento morto, distrugge la credibilità di un film in sé già per nulla verosimile con momenti di non-sense che lasciano di stucco… In parole povere, se ne frega di ogni cosa, ma alla fine pure lo spettatore impara a fregarsene, perché il film si gusta tutto d’un fiato come un pranzo a multipla portata che accosta i sapori più improbabili messo in scena tramite immagini formidabili e visionarie invenzioni.

La soluzione narrativa è sempre quella più stramba, non c’è inquadratura che non sia una piccola opera d’arte, non una luce sbagliata, non un’esagerazione stilistica che sia fuori posto. Formalmente Yakuza Apocalypse è vicinissimo alla perfezione, e la sua mescolanza di horror, fantasy, film di mafia e farsa non perde mai la sua schizzata omogeneità. Un film imperdibile, da vedere e rivedere, da studiare per capire come si fa il Cinema che non si prende sul serio senza risultare irritante o nocivo.

Non vi ho ancora convinti? Il coreografo dei violentissimi combattimenti è lo stesso di The Raid.

Riccardo Antoniazzi

Classe 1996. Studente di lettere moderne a tempo perso con il gusto per tutto ciò che è macabro. Tenta di trasformare la sua passione per la scrittura e per il cinema in professione.
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