
Your Name. – Il nostro cuore si può incrinare per qualcosa che non esiste?
Vi è mai capitato di aggrapparvi ad un film? Sentirlo aggrovigliarsi tra le dita mentre voi lo stringete, quasi con fare nervoso, come se le emozioni dei personaggi si stessero allineando alle vostre? Probabile. Anche con un film d’animazione però? Perché questo fa Your Name., ti si avviluppa al cuore, senza alcuna intenzione di allentare la presa.
La pellicola in questione è arrivata in Italia per mezza giornata in un solo cinema. Chiuso dal 1974. Quelle belle cose del nostro circuito di distribuzione che mi fanno evocare i sacramenti nel modo sbagliato. Ed era pure in lizza per essere candidato all’Oscar come miglior film d’animazione. Oh, Zootropolis fantastico e premio meritatissimo, ma dopo aver visto Your Name. non so se avrei votato per la Disney.
Perché la bellezza di questo film è ineffabile. Ti rapisce lentamente, quasi senza farti accorgere della sua presenza, finché ti rendi conto di quanto sia bello avere la Sindrome di Stoccolma.
A tessere i fili di Your Name. è il giapponese Makoto Shinkai, che a detta di molti è già l’erede designato di Hayao Miyazaki. Ma a lui non ditelo, che altrimenti fa harakiri in piazza perché è una specie di maniaco del lavoro che odia i complimenti a meno che non crei un altro Quarto potere. True story.
Mi spiace Makoto, visto che so benissimo che hai imparato l’italiano apposta per leggere la mia recensione, sappi questo: Your Name. è un cazzo di capolavoro. Sì, ho detto cazzo. E capolavoro. Fattene una ragione. Basta che poi non vieni a lanciarmi gli shuriken sotto casa.
Ora, prometto che cercherò di non fare spoilerz. Anche se parliamoci chiaro, chi aprirà questo articolo avrà sicuramente già visto il film, quindi se per caso dovesse arrivarne uno grosso lo nascondo sotto la cara vecchia dicitura così evito anche a voi di nominare i sacramenti nel modo sbagliato.
La storia di base è semplice, diciamo. Taki è un ragazzo di Tokyo che di giorno va a scuola e la sera fa il cameriere in un ristorante.
La giovane Mitsuha invece vive in un paesino sperduto fra i monti, e sogna solamente di andarsene da lì, soffocata da una vita di estrema provincia che non offre prospettive.
E fin qui tutto canonico. Poi però ecco il primo tocco di genio. Senza uno schema preciso, Taki e Mitsuha iniziano a svegliarsi uno nel corpo dell’altra, un paio di giorni a settimana. Tolto lo stupore iniziale, i due non si ricordano cosa hanno fatto una volta tornati nel loro corpo. Decidono allora di comunicare tramite una specie di app-diario del cellulare, così da regolarsi per evitare di mandare a monte le loro vite.
Lo scoprirsi lentamente si svela giorno dopo giorno, mentre i due ragazzi provano anche ad aiutarsi, cercando di sopperire le mancanze dell’altro e, in linea di massima, arrivando quasi a migliorare le proprie esistenze.
Se vabbè le solite giappominchiate da otaku con le proprie waifu. Già sento qualcuno che se ne esce con una frase del genere. A chi è capitato qui per sbaglio ora spiego i termini difficili: “le” è un pronome personale dimostrativo femminile di terza persona (singolare o plurale). Ok? Bene, perché Your Name. va decisamente oltre. A parte la reiterata gag delle tette. In quel caso avete ragione voi.
Ma è un piccolo scotto da pagare per un capolavoro. Perché da un certo momento in poi il film cambia registro, accelerando i battiti del nostro cuore, che con quelli di Taki e Mitsuha iniziano a farsi sincopati, lanciando fitte di dolore che non ci permettono quasi di sbattere le palpebre. Noi ci sentiamo avvinghiati alla loro storia, aggrappandoci con le unghie e con i denti ad ogni istante che i due protagonisti vivono, quasi volessimo aiutarli, perché il pensiero che possano non farcela ci strozzerebbe l’anima.
Perché questo fa Your Name., affonda il suo stiletto nella pura fantascienza, aggrovigliando i rossi fili del suo tempo con il nostro, tirandoci dentro mentre Taki e Mitsuha precipitano uno nell’altra, in una spirale dissonante che li porterà a… non lo sappiamo neanche noi. Non riusciamo a capire, non riusciamo ad accettare. Eppure siamo lì sull’orlo del divano, ad un soffio di distanza dal baratro.
Ora permettetemi uno spoilerz. Solo questo, promesso. Da bravo bimbo ecco che lo nascondo ben bene:
[su_spoiler title=”Spoilerz”]Quando Taki e Mitsuha riescono a far combaciare i propri “tempi” e si incontrano sul bordo del cratere il mio cuore aveva già subito parecchi colpi. Ma l’esatto istante in cui decidono di scriversi i nomi sulla mano, con Mitsuha che fa una riga sul palmo di Taki e la risonanza dei due ragazzi si ferma, mi ha portato via almeno un anno di vita. Uno stacco perfetto con il pennarello che cade all’apice della speranza. Non so voi ma in quell’istante mi si è incrinato il cuore.[/su_spoiler]E poi vogliamo parlare della bravura registica di Shinkai? Un’impronta chiara da parte dell’autore, con i suoi close-up (alla Edgar Wright, se mi passate lo strambo paragone), gli stupendi timelapse, l’incedere sulla metafora delle porte scorrevoli, i colori accesi, pieni, a tratti quasi brucianti. Che in un film d’animazione sentire la mano del regista non è per nulla facile. E poi la scelta delle musiche. Un’altra cosa che i nipponici sanno fare molto bene. Tutte le canzoni sono perfette a sottolineare il momento in cui sono collocate, soprattutto perché la maggior parte di noi conosce solo una parola di giapponese (che è ovviamente all-you-can-eat).
Perciò alla fine cosa ci resta di Your Name.? Un cuore livido di speranza, incapace di andare al tappeto e restarci, nonostante il conteggio dell’arbitro stia per scoccare l’ultimo numero. Il film di Shinkai fa appello a tutte le nostre emozioni, tendendole come corde di violino pronte a spezzarsi finché non sfiorano la nota corretta.
Semplicemente meraviglioso.