
Zootropolis
L’ultima fatica targata Disney, diretta da Byron Howard e Rich Moore – nelle nostre sale dal 18 febbraio in anteprima di un paio di settimane rispetto al mercato americano – è stata pubblicizzata da un trailer, divenuto abbastanza virale, in cui la protagonista cerca disperatamente di ottenere la verifica di una targa da un lentissimo impiegato della motorizzazione che, non a caso, è un bradipo. Il trailer in questione ha fatto ridere anche un musone come me e mi ha indotto alla visione del film, pur senza bambini al seguito.
Zootropolis (Zootopia nel più efficace titolo originale) è ambientato principalmente nell’omonima città, in un universo in cui il genere umano è eliminato dalla creazione e in cui sono gli animali – ed in particolare i mammiferi – ad aver preso il suo posto, evolvendosi da un iniziale stato selvaggio fino ad acquisire intelligenza superiore e a fondare una civiltà complessa. In essa, il modello predatore-preda viene parzialmente superato e tutte le specie animali convivono in relativa pace, svolgendo attività economiche tipiche della società umana. Nella città di Zootropolis persistono, tuttavia, alcuni luoghi comuni secondo cui, ad esempio, i mansueti conigli non sarebbero adatti a lavori fisici e pericolosi e le astute volpi sarebbero, generalmente, infide. In questo quadro, la coniglietta Judy cerca di realizzare il suo sogno di diventare poliziotta, combattendo l’ostracismo dei colleghi e cercando di ritrovare una lontra scomparsa con l’improbabile aiuto della volpe Nick, un tipico imbroglione.
La prima metà del film è incentrata sulla lotta della protagonista contro il mondo ed è, a mio parere, la meno riuscita. Judy vive in un ambiente in cui viene snobbata da animali più grossi e aggressivi di lei e, anche quando riesce finalmente ad entrare in polizia, viene relegata al più classico dei cliché per agenti sfigati: fare le multe per divieto di sosta. Nello svolgimento delle sue mansioni, Judy si imbatte un paio di volte in Nick, che la manipola a piacimento. Nonostante le delusioni, la coniglietta riesce a farsi assegnare un caso scottante , mettendo a rischio la carriera, e a legare progressivamente con la volpe. “Non devi mai smettere di lottare per i tuoi sogni” e “Tutto è possibile, se solo lo desideri” sono concetti portanti in questa parte, dove la morale Disney scorre potente, risultando a tratti un po’ stucchevole.
Una volta entrati nel vivo del caso della lontra scomparsa, invece, l’inevitabile atmosfera disneyana che permea Zootropolis si unisce a una componente action a tinte gialle davvero efficace e mai scontata, che riesce a tratti a sorprendere anche lo spettatore adulto. Judy si dovrà confrontare con alcuni pericolosi predatori cui pare sti accadendo qualcosa di misterioso. A stupire è soprattutto l’accurata rappresentazione delle dinamiche politiche che accompagnano in modo assai realistico lo svolgimento delle indagini. C’è un sindaco che ha l’aria del maneggione e che in un’intervista in televisione ci propina una specie di “sono stato frainteso”. C’è Judy che fa la cosa giusta, ma le sue azioni vengono sfruttate a scopo propagandistico. C’è una politica che cerca di sfruttare la paura e il pregiudizio per ottenere consenso. In tutto ciò, c’è anche il divertimento, che in questa seconda parte non manca mai.
Detto della trama in sé, non posso fare a meno di soffermarmi sul comparto tecnico, di livello assoluto. La mimica facciale dei personaggi è fantastica, ma è soprattutto la realizzazione dei diversi quartieri della città a lasciare a bocca aperta. In particolare, alcuni scorci del distretto Foresta Pluviale e di Downtown Zootropolis sono davvero mozzafiato. La colonna sonora, nella migliore tradizione Disney, è sorretta dalla canzone di Shakira Try Everything, nel film cantata da Gazelle (una gazzella, probabilmente parodia di Adele). Il pezzo ha tutte le carte in regola per diventare un classico, al pari di Let it go di Frozen.
In sintesi, in un mondo in cui l’espressione “film per grandi e piccini” è tragicamente abusato, Zootropolis si distingue per qualità e mi sento, per una volta, di consigliarlo davvero a tutti. Vado di quattro stelline perché la prima parte – un po’ troppo lenta, scontata e melensa – penalizza un film avvincente e tecnicamente ai limiti della perfezione.